The Last Stand - L'ultima sfida
Dopo una complicata missione, lo sceriffo Ray Owens, (Schwarzenegger) pieno di rimorsi e rimpianti lascia il dipartimento Narcotici di Los Angeles. Il poliziotto abbandona la metropoli per stabilirsi a Sommerton Junction una sonnolenta cittadina di provincia per risolvere piccoli casi di criminalità urbana. Ma la sua pacifica esistenza è sconvolta quando Gabriel Cortez (Eduardo Noriega), il più pericoloso narcotrafficante dell'emisfero orientale, riesce a fuggire da un convoglio-prigionieri dell'FBI dopo una spettacolare e sanguinosa sparatoria. Con la complicità di una feroce banda di mercenari fuorilegge guidata dal glaciale Burrell (Peter Stormare), Cortez comincia la sua corsa verso il confine messicano a 250 miglia all'ora con una Corvette ZR1 modificata ed un ostaggio al seguito. Il viaggio di Cortez passa dritto attraverso Summerton Junction, dove un potente dispiegamento di forze dell'ordine, con a capo l'agente John Bannister (Forest Whitaker) avrà l'ultima opportunità per intercettarlo prima che il violento fuggitivo passi la frontiera e scompaia per sempre.Riluttante nell'esserne coinvolto, e poi messo da parte per la dimostrata inettitudine dei suoi agenti, Owens riunisce il suo team decidendo di gestire il caso per conto suo, portando la storia alla più classica resa dei conti.
Dieci anni fa usciva Terminator 3: Le macchine ribelli, ultimo film di Arnold Schwarzenegger prima che l'eroe dell'action anni Ottanta si ritirasse dalla
recitazione per dedicarsi alla carriera politica. Da allora è apparso in
alcuni cameo durante il mandato, tra cui Il giro del mondo in 80 giorni e I mercenari di Sylvester Stallone, ma per il resto ha completamente abbandonato la
carriera di attore per circa una decade. Ora però è arrivato il tempo di
tornare.
Così, dopo un ruolo decisamente più abbondante ne I mercenari 2, Schwarzy torna da protagonista assoluto in The Last Stand – L'ultima sfida, film che segna anche l'esordio in America del regista coreano Kim Jee-woon, autore di Two Sisters e Il buono il matto il cattivo.
Il risultato è un apprezzabile film d'azione più western di quanto si
possa immaginare. Perché se The Last Stand è, da un lato, un prodotto
congegnato esplicitamente per far ripartire la carriera di
Schwarzenegger, piazzandolo nel bel mezzo del suo elemento, dall'altro è innegabile che i punti di riferimento di Kim siano più Mezzogiorno di fuoco e Un dollaro d'onore che non Commando o True Lies.
Tanto per cominciare, The Last Stand è ambientato in Arizona, in una
cittadina costruita nel mezzo del deserto, tra paesaggi desolati e
sabbiosi. Il protagonista, poi, è uno sceriffo, una delle figure più
tipiche del genere western, e oltretutto uno sceriffo che si erge come
unico baluardo della legge in un mondo controllato da un codice morale
deviante come quello della banda di malviventi che gli invade il paese.
Ray Owens attende l'arrivo di una forza del male soverchiante ma non
riesce a ottenere aiuto praticamente da nessuno, a parte i suoi
relativamente svogliati uomini, esattamente come in Mezzogiorno di
fuoco. E non mancano nemmeno figure retoriche ben codificate come il duello, ripreso con tanto di piano americano in bella vista, e la sparatoria nel mezzo della via principale della cittadina.
In mezzo a tutto questo, Schwarzenegger fa del suo meglio e scatena un
carisma naturale che non è stato cancellato dall'età o dalla sospensione
del servizio. È un po' imbolsito, un po' ingrassato, un bel po' più
rugoso, ma il bello è che – a differenza, per esempio, di uno Stallone o
dell'Harrison Ford di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo
– non nega mai la sua età, anzi la sfrutta per aggiungere al personaggio un livello di lettura,
una disillusione fondata sull'aver visto troppa violenza quando
lavorava nell'antidroga a Los Angeles. Lo scambio “Come si sente
sceriffo?”, “Vecchio”, riassume tutto il film. Un film ben confezionato,
divertente quanto basta, non eccezionale ma come sempre, nella
filmografia di Schwarzenegger, realizzato con cognizione di causa e più
intelligenza di quanto gli si vorrebbe imputare.
di Marco Triolo