Festival Roma 2014
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Benicio Del Toro: “Pablo Escobar? Uno spreco di talento”

L’attore presenta a Roma Escobar: Paradise Lost, insieme al regista Andrea Di Stefano e a Josh Hutcherson

Benicio Del Toro

19.10.2014 - Autore: Marco Triolo
Prendete un attore italiano un po’ testardo, con un progetto in mente e la grande voglia di realizzarlo. Prendete una delle più grandi star di Hollywood e uno dei nomi più interessanti nel panorama dei nuovi attori americani. Ora mescolate gli ingredienti e otterrete Escobar: Paradise Lost, biopic sui generis del famigerato signore della droga colombiano, scritto e diretto da Andrea Di Stefano e interpretato da Benicio Del Toro e Josh Hutcherson. Abbiamo detto “sui generis” perché, in realtà, il film ha per protagonista il personaggio di Hutcherson, Nick, un surfista che si innamora della donna sbagliata, la nipote di Escobar, viene trascinato nella famiglia del boss e si ritrova complice involontario di violenze terribili, finché non decide di alzare la testa.

Benicio Del Toro con Claudia Traisac, Josh Hutcherson e Andrea Di Stefano.
 
Parte molto bene Escobar: ha buon ritmo, introduce rapidamente e in maniera efficace i personaggi e riesce anche a infilare un paio di momenti di humour inaspettati nel raccontare il primo approccio di Nick con la casa Escobar e con un patriarca di cui non sa nulla, a parte che è un noto politico e filantropo, che in realtà nasconde un lato oscuro agli antipodi rispetto alla sua personalità pubblica. Purtroppo però Di Stefano si ferma a questo livello, non riesce a scavare a fondo nelle psicologie dei suoi personaggi e soprattutto a farci capire il legame complicato e profondo tra Nick ed Escobar e tra quest’ultimo e sua nipote. Se guardiamo al capostipite dei film su famiglie malavitose, Il Padrino, capiamo quanto molto del crescendo emotivo del film e della trilogia di Coppola sia da attribuirsi alla cura con cui il regista ha delineato i rapporti famigliari, rendendo così morti e tradimenti ancora più strazianti. Di Stefano invece in questo fallisce e, nel momento della resa dei conti, il film ne soffre e si appiattisce inevitabilmente.
 
Eppure il regista ha dichiarato di aver lavorato cinque anni al copione prima delle riprese, e di aver speso diciotto mesi a fare ricerche su Escobar, leggendo tutti i libri su di lui. La storia, inoltre, è ispirata a quella di un suo amico bolognese che “si è trasferito prima a Miami e poi in Colombia, dove è diventato amico di Pablo e cucinava per lui, finché Pablo non gli ha chiesto di nascondere una cosa di valore e ha cercato poi di ucciderlo perché era il solo altro a sapere”, spiega Di Stefano all’incontro con la stampa al Festival di Roma. Da lì nasce l’idea per “una tragedia greca, la discesa agli inferi di un uomo che incontra un semidio malefico”.

 
Pablo era un individuo contraddittorio – interviene Del Toro – uno spreco di talento. Il film ovviamente è finzione, non è un documentario e vuole intrattenere, ma è vero che Pablo ha causato molto dolore e tristezza al popolo colombiano, anche se allo stesso tempo ha aiutato i poveri e c’è gente che lo vede come un eroe, un Robin Hood locale”. “Io e Andrea abbiamo parlato molto della vera natura di Escobar – continua – e credo che la storia di Nick sia un microcosmo che sintetizza quello che ha fatto al suo Paese”.
 
Del Toro ha il tempo di parlare brevemente del suo ruolo in Guardiani della Galassia, il film Marvel che verrà presentato proprio al Festival nei prossimi giorni. “Il contratto che ho stipulato con la Marvel è privato e non ne posso parlare, ma se mi chiameranno sarò lieto di rifarlo. Mi capita sempre di capire davvero un personaggio solo all’ultimo ciak dell’ultimo giorno di riprese e penso di aver finalmente capito il Collezionista. Incrociamo le dita”.