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The Walking Dead – La recensione del finale di stagione

Si conclude la quinta stagione di The Walking Dead, con un episodio che infonde speranza nel futuro della serie

The Walking Dead

30.03.2015 - Autore: Marco Triolo
ATTENZIONE: qualche (blando) SPOILER dal finale di stagione.

C'è speranza per The Walking Dead. Se c'è un difetto che si può imputare alla serie horror più popolare al mondo, è quello di aver perso quasi del tutto la coerenza interna delle singole stagioni a causa di una scriteriata enfasi sul finale di metà stagione. Sin dalla terza stagione, il mid-season finale è quasi più importante del finale vero e proprio, e questo ha prodotto lo scomodo effetto collaterale di avere una metà stagione in crescendo e una seconda metà di riassestamento e preparazione alla stagione successiva. È come se tutto TWD fosse traslato avanti di metà stagione, con relativi problemi di struttura. Ciò è anche colpa dei continui cambi al vertice: sin dall'abbandono di Frank Darabont, AMC non è stata in grado di mantenere uno showrunner fisso e anche per questo la qualità e la continuità ne hanno risentito.


Il cast di The Walking Dead.

La quinta stagione segna però un possibile spartiacque e una potenziale via di uscita da questa impasse. Da un lato è iniziata a rilento, con una sfilza di episodi tutti identici in cui Rick e i suoi tentavano di sopravvivere “là fuori”. Una prima metà stagione noiosa è sfociata però in una seconda ben più interessante, e già qui lo schema si è finalmente invertito. Il cambio di marcia è dovuto all'approdo dei nostri ad Alexandria, una comunità protetta da mura di acciaio e lamiera e abbastanza fortunata da non aver incontrato grossi guai (nonostante qualche scheletro nell'armadio che sicuramente verrà fuori più avanti).

QUI IL TEASER TRAILER DELLO SPIN-OFF FEAR THE WALKING DEAD.

I fan del fumetto di Robert Kirkman e Charlie Adlard sapranno che Alexandria riveste un ruolo molto importante nella saga, anche se quella immaginata dallo showrunner Scott Gimple è abbastanza diversa da quella dei fumetti, più problematica e piena di lati oscuri irrisolti. Allo stesso tempo, Kirkman e Gimple hanno reso molto interessante il “primo contatto” tra la famiglia di Rick e la popolazione di Alexandria, scavando molto bene nelle psicologie dei nostri eroi e cavandone fuori altrettanti lati oscuri. Il Rick Grimes che vediamo a questo punto della serie TV è molto più folle della sua controparte a fumetti e, come i suoi amici, non riesce a riadattarsi a una vita sedentaria e relativamente “normale”. È come se tutti i protagonisti soffrissero di una sindrome da stress post-traumatico al pari dei soldati di ritorno dal fronte: le mura di Alexandria, per quanto sicure e capaci di garantire un futuro a loro e ai loro figli, stanno loro strette e sembrano più una prigionia dorata che una speranza. Ne è scaturito un interessante tema di fondo, ovvero il confronto tra la vita "là fuori" e l'artificiosa realtà "dentro le mura". In tutto ciò funziona benissimo la dicotomia Rick/Daryl: il primo è sempre stato la colonna portante della famiglia, il padre severo ma responsabile; il secondo era un figlio, o un fratello minore, ribelle e imprevedibile, sulla strada della redenzione. Ora, e specialmente nelle ultime due puntate della quinta stagione, quel rapporto si è praticamente capovolto.


Andrew Lincoln e Norman Reedus.

Kirkman e Gimple non ci provano nemmeno più a farci piacere alcuni dei personaggi. Certo, Glenn,  Maggie, Daryl e Michonne sono sempre “adorabili” a modo loro, ma Rick è ormai uno squilibrato con occhi spiritati che riesce a malapena a contenere la sua follia e Carol è quasi totalmente impazzita nel suo delirio survivalista e individualista. Il finale di stagione è una riflessione ben scritta su tutti questi temi: l'integrazione tra due comunità, l'instabilità della vita dopo l'apocalisse, la violenza che permea ogni singolo atto umano. E infine la puntata si chiude con un discorso di Rick che ricorda tanto le parole da lui pronunciate al termine della seconda stagione, quando il mondo conobbe il significato della parola “Ricktatorship”, poi quasi totalmente disatteso in favore di uno sviluppo del personaggio ben più rassicurante. Ora la pazzia striscia costantemente sotto pelle della comunità di sopravvissuti e la cosa non può essere più negata o spazzata sotto il tappeto.


Andrew Lincoln e Tovah Feldshuh, alias Deanna, leader di Alexandria.

La sesta stagione promette di essere la migliore da un sacco di tempo a questa parte. Se seguirà almeno un po' il fumetto dovrebbe introdurre un nuovo avversario (e il finale della quinta sembra suggerire che si vada in quella direzione) e ambientarsi completamente ad Alexandria. È tempo di ridare coesione interna alla serie e smetterla di spezzare le stagioni in due tronconi. Ci serve una sesta stagione dritta e a fuoco. Il primo passo è stato fatto, ora non resta che andare fino in fondo.