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The Place, la recensione: Mastandrea ‘diavolaccio’ contro il moralismo italico

Tante metafore alte nel nuovo film di Paolo Genovese. Ma a mancare è un po' di disperazione

The Place 

The Place 

10.11.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
Il tavolo più scomodo di The Place non è tanto quello dove si scottano i suoi personaggi, uomini e donne che vi si siedono controvoglia per chiedere un qualcosa che in fondo non vorrebbero mai dover esprimere, avanzare o portare avanti. Piuttosto il luogo più indesiderabile è quel bancone aguzzo dove finisce chiunque sia oggi sotto l’analisi di un’opinione pubblica sempre più lapidaria nel considerare il giudizio morale come unico metro con il quale valutare positivamente o negativamente il comportamento altrui. 

Come guardare quindi ad un gruppo di personaggi, Marco Giallini, Vinicio Marchioni, Rocco Papaleo, che in virtù della loro disperazione, c’è chi sta perdendo un figlio, chi un marito, chi un amore, chi l’immagine bella di se stessi, sono disposti ad infrangere le più rigide regole della morale? Qui si parla di roba forte visto che si va dal non uccidere, al non rubare, al non desiderare la donna d'altri. 
 
Per un’ora e quaranta The Place prova a rispondere. Per questo è un film ambizioso - tra l'altro ispirato pedissequamente alla serie TV The Booth at The End - che fin dai primi minuti cerca di suggerire alcuni parametri univoci per giudicare l’azione del prossimo. Il vicino di casa, la ‘gente’, i politici, i padri, forse anche noi stessi che siamo coscienze mute e inespresse prima che parole.
 
Perché per dirla come Weber, ogni azione può essere giudicata o secondo l’etica della convinzione o secondo l’etica della responsabilità. La prima, semplificando, valuta un’azione in base ai principi dati e la giudica buona se li rispetta, cattiva se li viola. La seconda misura tutto sulla base delle conseguenze dell'azione; che è buona se riesce e cattiva se fallisce. Per esempio: non uccidere è sbagliato e deprecabile in senso assoluto ma uccidere qualcuno per salvare la vita di un figlio cambia di un poco la questione sì o no? Perché il diavolo – e qui Mastandrea somiglia moltissimo al personaggio infernale per eccellenza - guarda i dettagli. Il moralismo invece, per nulla. Anzi li ignora e procede per compartimenti stagni. Alla fine è solo un fatto di punti di vista; solo che non è detto che un’azione giusta per il primo criterio lo sia anche per il secondo.

Indovinate a quale mentalità siamo più vicini in Italia? 
 
E così con questo schema, un po’ ripetitivo per il cinema, il film va avanti di quesito in quesito, di Mastandrea malinconico in Mastandrea malinconico, di diavolo in diavolo. Il suo problema principale però è proprio l’aver preferito la malinconia alla disperazione. Perché è un film che quando deve scegliere come far apparire un uomo che è costretto a preferire o la sopravvivenza del proprio figlio o quella di una sconosciuta, evita di rappresentarlo come un essere intrappolato in una strettoia e niente affatto libero di scegliere. Al contrario, preferisce un ritratto più bonario. Con lui e con altri personaggi. 
 
Alla fine nel dare un giudizio univoco sul film torna il problema delle due etiche inconciliabili. Se dovessimo misurarlo solo dalla grandezza dell’intento di toccare un tema così difficile, qui ritorna l’etica della convinzione, allora potremmo fermarci e promuoverlo senza se e senza ma; perché è una pellicola che supera tanti film italiani. Se invece dovessimo giudicarlo dal risultato, (tenerci sulla sedia), ecco l’etica della responsabilità, allora sarebbe più giusto parlarne invece come di un film buono ma non eccelso, a tratti persino difficile da seguire. Chissà che prospettiva sceglierà lo spettatore questa volta. Anche noi del resto non riusciamo a deciderci del tutto. 

The Place, in uscita il 9 novembre è distribuito da Medusa Film. 
 
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