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Steve Jobs - La nostra recensione

Forse troppo segnato dall'impronta di Aaron Sorkin lo Jobs di Fassbender si perde in chiacchiere...

21.01.2016 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da New York
Difficile considerarlo un film "opportunista", come lo avrebbe definito il CEO della Apple (e come è stato abilmente diffuso), di certo lo Steve Jobs di Danny Boyle non sembra nemmeno essere quel film "maledetto" che si annunciava ai tempi dell'abbandono di David Fincher e della rinuncia di Leonardo DiCaprio e Christian Bale. Un film che fondamentalmente è di Aaron Sorkin, più che di chiunque altro.

Soprattutto perché da sempre è stata la sua sceneggiatura in tre atti lo scheletro su cui il film si è costruito (e si sviluppa), ma anche per la fortissima connotazione data ai personaggi e alle scene tra loro. Grandi confronti dialettici, come nella sua migliore tradizione, una densità verbale da record - sia in quantità sia in qualità - e ininterrotta.


Una sorta di maratona non a tutti congeniale, è inevitabile, ma dall'indubbio fascino. E coerenza, considerato quanto il personaggio al centro della vicenda amasse parlarsi addosso. Il rischio semmai è che tanta 'riconoscibilità' di una firma del genere possa finire col prendere il sopravvento sulla narrazione per immagini, come in questo caso.

La mano di Danny Boyle si apprezza, soprattutto nelle inquadrature e nel montaggio, anche se tende a scivolare in certi giochi 'pittorici' a lui tanto cari, soprattutto in alcune transizioni. Per il resto è molto interessante il cambio di gestione dell'immagine e dello spazio occupato dal protagonista via via che la sua storia viene raccontata: completamente padrone della scena all'inizio, costretto a condividerla - e al confronto, con diversi 'sparring partner' - poi. E questo anche visivamente, con l'aumento graduale delle porzioni di schermo riservate agli altri attori nelle scene finali e con una gestione degli scontri che passa dal forsennato alternare primi (o strettissimi) piani con una ripresa più ampia che includa anche la controparte dialettica.


Questo ci permette anche di apprezzare sempre di più le figure di contorno, Seth Rogen, Jeff Daniels e Kate Winslet su tutti. Principali 'oggetti' della nostra empatia - comprensibilmente, considerata la durezza del protagonista - e delle nostre preferenze, nel giudizio. Forse anche per un eccessivo sovrastare il personaggio interpretato, come accade anche per il pur ottimo Michael Fassbender, a sottolineare una direzione che evidentemente si è tenuta alla larga da quel rispetto 'formale ed esteriore' che ci aveva allontanati dal precedente jOBS. Peccato non abbia fatto altrettanto con la scelta - a tratti stucchevole - di puntare tanto sulla storia della figlia (e di inserire un paio di ammiccamenti, troppo scontati) nell'accompagnare quella del celebre padre.


Steve Jobs, in sala dal 21 gennaio 2016, è distribuito da Universal Pictures