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Rocky Balboa

Rocky è tornato nel suo vecchio e fatiscente quartiere, lavora nel suo piccolo ristorante e vive attaccato ai dolorosi ricordi di un tempo: la gloria del ring, le urla della folla, ma soprattutto il ricordo della sua Adriana, scomparsa da tempo

Rocky Balboa

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
    Con un’operazione che denota una sorprendente intelligenza, il regista è tornato a caratterizzare il personaggio alle sue origini, prima cioè che Rocky diventasse l’eroe palestrato e propagandista che il terzo e quarto episodio lo avevano reso negli anni ’80. Adesso è tornato nel suo vecchio e fatiscente quartiere, lavora nel suo piccolo ristorante, e soprattutto vive attaccato ai dolorosi ricordi di un tempo: la gloria del ring, le urla della folla, ma soprattutto il ricordo della sua Adriana, scomparsa da tempo.

Citando un’affermazione del mio collega Mauro Donzelli, Balboa è diventato una figura patetica, intesa nel senso positivo del termine: ci troviamo di fronte infatti ad un personaggio immerso nel crepuscolo, che sta concludendo la propria esistenza e sta facendo i conti con il mito che un tempo ha rappresentato. Per almeno due terzi dunque “Rocky Balboa” si muove come un melodramma umano scritto e realizzato con una sensibilità che sinceramente da Stallone non ci saremmo più aspettati. Non stiamo di certo parlando di un capolavoro, neppure di un lungometraggio pienamente riuscito, ma di un’opera sincera ed abbastanza lucida nel sapere cosa vuole raccontare. Risulta evidente che l’attore/regista/sceneggiatore ha voluto in qualche modo chiudere i conti con la sua un tempo splendida creatura tornando a raccontarla per quello che è, e smentendo in qualche modo i sensazionalisti ed il “machismo” che l’aveva trasformata in qualcosa di estraneo alla sua natura. Un ritorno dunque allo spirito ed alle atmosfere dei primi due episodi, scelta che non può non essere applaudita.