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Raw: la recensione del Cannibal-Horror che terrorizza il pubblico

Al Festival di Sitges l'iniziazione di una giovane universitaria francese apre le porte di un mondo confuso sulle proprie origini, anche lontane.

12.10.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Nel "C’est pas grave" francese sta la spiegazione del titolo - Grave, in originale - che la stessa Julia Ducournau ha dato all'ultimo Festival di Cannes, dove era in concorso alla Semaine de la Critique. Un ambito forse meno adatto di quello del Festival de Cinema Fantàstic de Sitges per un film che sul mercato internazionale si presenta come Raw (Crudo) e che mescola diversi elementi in un racconto che non può non rendere evidente l'interesse della 35enne regista parigina per i disturbi e le abitudini alimentari. Soprattutto considerato il suo precedente Mange, film tv su una giovane avvocato trasformata dalla dieta e preoccupata dal ritorno nella sua vita di una amica bulimica…



Una prova generale, o solo la conferma delle possibilità che offrono certe dinamiche, visto che anche qui troviamo due donne a confrontarsi con le proprie debolezze, desideri e istinti, oltre che con gli obblighi sociali e un branco moralista e conformista, anche negli eccessi. In questo caso quello degli studenti della Facoltà di Veterinaria dove Justine (Garance Marillier) ha scelto di iscriversi, coerentemente con i dettami familiari di un deciso vegetarianesimo. Ma il cambio di realtà e il - solo apparente! - allontamento dalle proprie radici sono il perfetto innesco per l'esplosione cui assistiamo. In un contesto dedito a giochi pericolosi 'da manuale', le "disavventure della virtù" della povera giovane non potranno non sconcertare, sorprendere e scioccare il pubblico (soprattutto dopo tanto empatizzare) come fanno con lei.

E nonostante qualche accenno ad altro (dalle frequentazioni dei gabinetti ai flash dedicati alla pericolosità delle strade extraurbane), inserito con forza più che con criterio nella trama della narrazione, forse diluendola e prolungandola più del consigliato, la forza di una scoperta di sé stessa tanto inattesa - per lei e per chi la osserva, come detto - non lascia indifferenti. Le simboliche tentazioni 'della carne' di una vegetariana convinta e di una matricola inesperta e provinciale si trasformano rapidamente in una sempre più consapevole accettazione delle proprie pulsioni e istinti. E la perplessità per certi riti di iniziazione, sociale e sessuale, passano presto a essere quelle degli spettatori abituati a trasgressioni più consentite (eppure pronti ad accettare tutto, come da premessa).



"I've tasted blood and I want more", cantava Susan Sarandon nel Rocky Horror Picture Show, ma lei non aveva mai avuto reazioni al limite della trasformazione fisica, né una sorella (Ella Rumpf) nella quale specchiarsi e con la quale condividere l'esperienza del cannibalismo, di una regressione istintuale tale da travolgere qualsiasi convenzione o dovere, talmente veloce e contraddittoria - e inaccettabile, in fondo - da non permettere a nessuno di adeguarsi in tempo utile a prepararsi al prossimo passo, alla prossima anomalia.


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