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Lo Hobbit: La battaglia delle cinque armate - La nostra recensione

Nel film che si pone come anello di congiunzione, attese gioie e dolor(ett)i che entreranno comunque nella storia

18.12.2014 - Autore: Mattia Pasquini
Ci ha messo un anno Smaug ad arrivare in volo dalla Montagna solitaria di Erebor fino al villaggio di Pontelagolungo, un anno nel quale non sembra davvero esser successo molto. Di certo non nel mondo - sospeso - creato da Peter Jackson, che' ormai, e sempre di piu' questo Hobbit e' una sua creatura piu' che una trasposizione del classico di Tolkien. E non solo per l'inserimento dell'elfa Tauriel (la simpatica e disincantata Evangeline Lilly), con la quale questo Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate ci accoglie.



La prima parte, in realta', e' un succedersi di fili riannodati, forse inevitabile, forse non tutti necessari e con tanta fretta. La stessa con la quale tutto sommato si risolve la questione del Drago (che prima di scomparire ci regala una delle sequenze piu' belle dell'intero film) e della redenzione del povero Bard, spesso sopraffatto dalle piu' carismatiche controparti e dall'incedere della narrazione piu' importante.

Un prologo figlio del cliffhanger con cui ci eravamo lasciati e la cui necessarieta' sarebbe da questionare, vista la possibilita' di un terzo capitolo completamente indipendente. Che' tale avrebbe potuto essere per la quantita' di soggetti e linee narrative intrecciate, originarie e aggiunte dal regista neozelandese, come detto. Una battaglia quindi che per quanto sia il vero cuore della vicenda si divide in piu' percorsi consentendo allo spettatore di sfuggirle, con la certezza pero' di tornare a godersela, e trae vera forza proprio da questa ariosita' e varieta'.



A livello strutturale, che' nel dettaglio non tutte le sottotrame risultano egualmente riuscite. Come se il problema non fosse tanto spaziale quanto tematico tanto lo scivolare da un centro di gravita' emozionale ad un altro meno convince meno dei pur numerosi cambi di campo (di battaglia). A conferma del fatto che le transizioni migliori siano quelle confinate al succedersi degli eventi legati allo scontro centrale.

Il ritmo di fatto si spezza proprio nel tentativo di attirarsi l'empatia del pubblico mentre si segue inevitabilmente la forza centripeta del film. Che si perde laddove tenta di raggiungere certe vette del passato, rimettendo in campo la splendida Galadriel - in versione 'posseduta' in uno dei tanti link tra questa e la prossima trilogia che (per sua stessa ammissione) Jackson si e' divertito a inserire nella storia - e il Bilbo piu' naive, ma di una innocenza fin troppo sottolineata da smorfie e ammiccamenti. Per non parlare della insistita ricerca dell'Epica, per la quale sarebbe bastato il tema trattato senza il bisogno di 'rafforzarla' con rallenty e primi piani a effetto.



Difficile tenere in equilibrio una materia siffatta, pero', onestamente. Nella quale le crepe non finiscono per rovinare il piacere dello spettacolo e a fiaccare l'emozione dell'intrattenimento e il carisma di certi personaggi, sui quali - tutti, a nostro parere - si staglia lo splendido, travagliato, folle e orgoglioso Thorin Scudodiquercia.


Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate, in sala dal 17 dicembre, e' distribuito da Warner Bros.

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