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Jackie – La recensione del biopic interpretato da Natalie Portman

Pablo Larrain dirige un film che racconta i giorni seguenti l’attentato a Kennedy, visti attraverso gli occhi della First Lady

Jackie

07.09.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Parlare dell’uccisione di Kennedy al cinema è sempre un rischio, perché la morte del presidente più amato del secolo scorso è un trauma da cui gli Stati Uniti ancora non si sono ripresi, dunque il rischio è quello di cadere nella retorica, nella celebrazione del patriottismo, oppure, all’opposto, nel complottismo sfrenato. Qualche anno fa qui a Venezia era stato presentato Parkland, che parlava dell’attentato di Dallas dal punto di vista delle persone vicine a Kennedy e a Lee Harvey Oswald, ma lo faceva nel modo peggiore possibile, concentrandosi su preghiere e piagnistei pubblici.

Jackie di Pablo Larrain dimostra che, forse, per raccontare l’irraccontabile è meglio servirsi di un punto di vista esterno. Il regista de Il club e No – I giorni dell’arcobaleno porta una ventata di freschezza a una storia che, in mano a un americano, rischiava di essere un solenne tomo difficile da digerire. Natalie Portman tende un po’ troppo all’imitazione di Jackie Kennedy, riproducendone il tono di voce alla perfezione, ma riesce a far trasparire abbastanza la sua personalità e ad evitare di dare semplicemente voce e volto a uno spettro.

Ma è Larrain – con lo sceneggiatore Noah Oppenheimer – a farla da padrone, orchestrando una storia non lineare, costruita a partire da una cornice narrativa in cui vediamo Jackie intervistata dal giornalista Theodore H. White (Billy Crudup), e poi giocata su più livelli temporali, tra il giorno dell’attentato e quelli seguenti. Il ritratto della First Lady è composito, articolato: non ne esce “solo” come la classica donna forte, capace di alzare la testa dopo una disgrazia e ispirare una nazione con la sua dignità; viene fuori anche la parte più fragile della sua personalità, l’indecisione e la confusione. Jackie vorrebbe una parata spettacolare per dire addio al marito, poi rinuncia all’idea quando capisce che non sarebbe sicuro per il nuovo presidente Lyndon Johnson, e infine decide di tornare sui suoi passi. Un tira e molla che la dice lunga sul momento di profonda crisi vissuto da una persona che “fino al giorno prima si occupava solo di decidere il colore della carta da parati” della Casa Bianca.



Jackie è un film che vive di contrasti tra l’eleganza della messa in scena e della protagonista (prevalgono i bianchi nella fotografia di Stéphane Fontaine) e il suo nucleo più caldo, l’urgenza di raccontare uno spaccato dei sentimenti di Jackie e Bobby Kennedy (Peter Sarsgaard), che prevale anche sul quadro generale dello stato della nazione. Come dovrebbe essere, perché per capire davvero una tragedia non conta parlare di politica internazionale, ma della sofferenza di chi l’ha vissuta sulla propria pelle.

Jackie sarà distribuito in Italia da Lucky Red.

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