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Billy Lynn - La nostra recensione del controverso film di Ang Lee

Tratto dal romanzo di Ben Fountain - È il tuo giorno, Billy Lynn! - non convince l'esperimento del regista taiwanese, davvero interessante solo tecnicamente.

25.01.2017 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Sono molti i pensieri che si affollano al termine della visione del Billy Lynn: Un giorno da eroe, e non tutti coerenti tra loro. Ammesso che questo debba significare qualcosa, in un film che sembra avere un conto aperto con il concetto di coerenza. Molta carne al fuoco per un film annunciato come tecnicamente rivoluzionario per esser stato girato in 3D nativo, Ultra HD e 120 fotogrammi al secondo (quando "L'incredibile" Lo Hobbit ne aveva 'solo' 48fps), e in grado di portare lo spettatore dentro l'azione, in una empatizzazione totale con il dramma e i dubbi del protagonista. Se non fossero racconto e regia a tenercene fuori...

Viene d'istinto l'impulso di tornare a scorrere gli ultimi titoli firmati dal regista taiwanese Ang Lee, forse per sentirsene rassicurati… Vita di Pi, Motel Woodstock, Lussuria - Seduzione e tradimento, I segreti di Brokeback Mountain: tutti tra il 2005 e il 2012. Poi, cinque anni di silenzio. Fino a questo adattamento cinematografico del romanzo d'esordio di Ben Fountain: È il tuo giorno, Billy Lynn! In originale 'Lynn's Long Halftime Walk', per l'evidente riferimento alla apparentemente interminabile 'missione' dell'eroico 'Bravo Team', invitata ad apparire durante lo show organizzato nell'intervallo della partita di Football Americano del Giorno del Ringraziamento del 2004 nello Stadio di Denver. Due settimane di 'Victory Tour' per mostrare al Paese plaudente i propri paladini, gli eroi della Land of the Free, i Coraggiosi in Guerra contro il Terrore.



Un carrozzone, è facile immaginarlo. Soprattutto guardando lo spettacolo con i nostri occhi, dall'altra parte dell'Oceano. E osservando quello messo in scena da un regista, dal quale ci saremmo aspettati una sensibilità diversa, soprattutto nel capire quanto poco sia 'di rottura' la critica, o satira, rappresentata attraverso le crisi dei ragazzi in divisa, trattati come pupazzi, e dello stesso Billy (l'esordiente Joe Alwyn), che vediamo emergere davvero solo in un paio di momenti. Troppo poco in un accumulo di stereotipi a stelle e strisce - dal tacchino alla cola in frigo, dallo spirito di corpo che raddrizza un giovane, in fondo 'sbandato' per motivi nobili, al trattamento dei reduci e all'elezione del 'fronte' a 'casa' - che non si eleva mai sull'orizzonte del banale e del previsto.

Forse, entro i confini patri, tanto didascalismo avrà avuto un'altra lettura (come sembra dimostrare il flop interno al botteghino, che per ora tiene lontano il film dall'agognato raggiungimento del budget investito), ma di certo lontano da essi - e per chi a certe riflessioni non sia del tutto nuovo - questo "Normal Day in America" di "Agnelli al macello" difficilmente riuscirà a emozionare. Anche per una sostanziale piattezza e superficalità di espressione, non assistita certo dall'ossessivo alternarsi di dialoghi, affidati a insistiti e poco dinamici primi piani a tutto schermo.



Il resto del film sta nel succedersi di situazioni, nell'alternarsi dei flashback dell'azione in Medio Oriente, nella conoscenza della cheerleader di Makenzie Leigh e nella 'schiettezza' del miliardario Norm (uno Steve Martin costretto a lottare con il botox per far emergere le proprie espressioni), nel pacifismo critico della sorella interpretata da Kristen Stewart e nelle spirituali perle di saggezza (tutto sommato tra le cose migliori) dello Shroom di Vin Diesel. Insieme alla comprensione per lo sgomento di questi eroi da baraccone, il loro esser fatti 'corpo' perché schiere di 'fedeli' - pronti all'omaggio in favore di telecamere quanto all'immediato disinteresse - possano toccarli, vederli, insultarli magari, ma sentirli veri. Credere che quella guerra (siamo nel 2004, in Iraq) avesse un senso.