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Shame - La nostra recensione

Steve McQueen si addentra nei meandri della sex-addiction con un film struggente

Shame - Michael Fassbender

12.01.2012 - Autore: Marco Triolo
Dopo aver stupito con il suo esordio, lo splendido biopic su Bobby Sands “Hunger” (qui la nostra recensione), il video-artist diventato regista Steve McQueen è pronto a fare il bis di lodi con “Shame”, il suo secondo lungometraggio per il quale ha collaborato ancora una volta con Michael Fassbender. Un film che, se per certi versi sembra l’opposto del suo predecessore, per altri ne è una diretta filiazione. Per quanto, infatti, “Shame” sia ambientato nella più affascinante e vitale metropoli del mondo, al contrario del carcere di “Hunger”, entrambe le pellicole parlano di isolamento e prigionia, una fisica, l’altra dell’anima. Il protagonista di “Shame” è Brandon, giovane professionista che vive a New York. Brandon ha successo nel lavoro, possiede un appartamento di lusso e ha fascino da vendere con le donne, ma ha un problema che si sta facendo sempre più assillante: è dipendente dal sesso. Finora è sempre riuscito a tenere la cosa confinata tra le mura domestiche, ma l’arrivo della sorella minore (Carey Mulligan), problematica quasi quanto lui, darà il via a una catena di eventi che lo costringeranno a fare i conti con se stesso.

Shame di Steve McQueen, la recensione - Fassbender in una scena

Nella città che non dorme mai, dove il piacere sessuale è a portata di mano e dove un uomo single può intrattenersi in tutti i modi che preferisce, Brandon non ha limiti e dunque il suo problema non riesce a trovare risoluzione. McQueen comprende quanto una completa redenzione sia fuori luogo – stiamo parlando di questioni vere, non dell’arco di maturazione di un qualsiasi eroe hollywoodiano – e preferisce lasciare molto in sospeso, tante faccende insolute, concentrandosi non sull’ampio respiro ma sulle vite dei suoi personaggi, due anime perdute che cercano di riconnettersi e rimettere assieme i pezzi. Ce la faranno? Non è dato saperlo, ma almeno ci stanno provando.

Shame di Steve McQueen, la recensione - Carey Mulligan canta New York, New York

Come in “Hunger”, McQueen si affida a una messa in scena di pochi dialoghi, lunghi ciak e un uso intelligente delle ellissi narrative e dei flashback. Ne risulta un film dall’incedere lento, fortemente visivo, che spiega poco e racconta tanto con le immagini, con i volti, la fisicità degli attori. Che per il loro regista non esitano a spogliarsi totalmente, non solo dal punto di vista fisico ma anche emotivo. Fassbender è eccezionale, un fascio di nervi e sensazioni che in ogni momento sono sul punto di esplodere. Carey Mulligan sembra non sbagliare un colpo e, alla vigilia della sua promozione a star di serie A, torna con un film che sicuramente ha scelto più per la sfida professionale che non per il potenziale al box office.

Shame di Steve McQueen, la recensione - Fassbender sul set con Steve McQueen

Shame” è un film potente, raccontato con grande asciuttezza e maestria e capace davvero di fare leva sui sentimenti più basilari dell’uomo. Non a caso il titolo, che dopo “Hunger” sembra continuare una sorta di studio sugli istinti primordiali dell’uomo. Ma McQueen ha anche il coraggio di non lasciarsi andare alle lacrime facili – nonostante un momento molto commovente verso il finale – e preferisce lasciare aperto uno spiraglio, la speranza di poter ricostruire un senso. A volte, è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

In uscita il 13 gennaio, Shame è distribuito in Italia da Bim. Per saperne di più, guardate il trailer e leggete la nostra intervista a Michael Fassbender.