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L'importanza di chiamarsi Tintin

Storia della genesi di un progetto ambizioso, e di come Spielberg e Jackson abbiano forgiato un'alleanza imbattibile

Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno

18.10.2011 - Autore: Marco Triolo
Lo chiamano Gonzo Journalism, termine che indica quei casi in cui il giornalista si fa trascinare dagli eventi e diventa parte della storia, perdendo la propria obbiettività.

Nella realtà lo ha inventato Hunter S. Thompson, il folle autore di “Paura e delirio a Las Vegas”, ma nel mondo dei fumetti questo ruolo va senz'altro attribuito a Tintin – senza l'alcol e le droghe, naturalmente. Creata alla fine degli anni Venti dall'autore belga Hergé, la serie “Le avventure di Tintin” ha venduto trecentocinquanta milioni di copie in tutto il mondo, ed è stata tradotta in più di ottanta lingue diverse. Un successo che ha raggiunto anche Steven Spielberg in una maniera curiosa, che non può che considerarsi un segno del destino: il regista di “Indiana Jonesdoveva dirigere il film di Tintin.

Tintin e l'inseparabile Milou

La genesi: dal fumetto al film
E' il 1981, quanto Spielberg scopre una recensione de “I predatori dell'arca perduta” su una rivista francese. Pur non capendo la lingua, la sua attenzione viene attirata da una parola che appare spesso nel testo: “Tintin”. “Feci tradurre la recensione in inglese – ricorda il regista – e diceva che il mio film era un omaggio al creatore di Tintin, Hergé. Ma in realtà, non avevo mai letto un volume di Tintin in tutta la mia vita”. Spielberg fa immediatamente acquistare al suo assistente le copie di alcuni albi: “Anche se non potevo leggerli, fui colpito dalle illustrazioni di Hergé e grazie a loro capii la storia”. L'innamoramento fu reciproco: Hergé divenne un fan di Spielberg, e si convinse che fosse l'unica persona in grado di adattare le sue storie. I due avrebbero dovuto incontrarsi nel 1983, ma Hergé morì la settimana stessa. La vedova concesse immediatamente i diritti a Spielberg, che ne voleva fare un film live action con Jack Nicholson nei panni del Capitano Haddock, ma il progetto naufragò dopo alcune stesure dello script insoddisfacenti.

La situazione si sblocca all'inizio dello scorso decennio, quando Spielberg contatta Peter Jackson per chiedere assistenza alla sua Weta: è lo stesso Jackson a suggerirgli di usare il motion capture, la tecnica con cui aveva già creato il Gollum de “Il Signore degli Anelli” e stava lavorando a “King Kong”. Nel 2008 iniziano finalmente le riprese: Sony a questo punto ha garantito il finanziamento di due film, il primo diretto da Spielberg e prodotto da Jackson, il secondo a ruoli invertiti. Dopo trent'anni, Spielberg è finalmente riuscito a dirigere un film che ha inseguito tenacemente per tutta la vita, proprio come Tintin insegue le sue storie senza mai mollare: “Ho scoperto in Tintin un giovane e tenace esploratore e reporter investigativo – spiega Spielberg – Con lui mi identifico perché non accetta un no come risposta. La storia della mia vita”.

Spielberg e Jackson sul set con Andy Serkis

Steven Spielberg, l'esordiente
Per Spielberg, “Le avventure di Tintin: Il segreto dell'Unicorno” rappresenta un esordio su più fronti: è il suo primo film d'animazione, il primo in 3D, ma soprattutto il primo non in pellicola. Nonostante tutto, la transizione non è stata così brusca: “Girare 'Tintin' è stato come dipingere un quadro, perché potevo andare a ritoccare ogni singolo dettaglio”. E poi avere una vera telecamera in mano ha significato per lui girare alla vecchia maniera, “con in più la possibilità di mettere la telecamera in posizioni impossibili nel cinema dal vero”.

L'esperienza è stata talmente positiva, che l'autore potrebbe anche tornare a lavorare con il digitale 3D: “Mi piace molto come mezzo. Certo, non è adatto a ogni film, ma per 'Tintin' era perfetto”. E poi c'è sempre quel terzo film che Spielberg e Jackson, se tutto andrà bene, dirigeranno a quattro mani. “La nostra è stata una collaborazione diversa da tutte quelle a cui ero abituato, tranne forse nel caso di George Lucas – dice del socio neozelandese – Eravamo come fratelli, e abbiamo condiviso tutte le principali decisioni creative dalla sceneggiatura ai trentuno giorni di riprese”.

Tintin con i gemelli Johnson e Johnson

Un cast virtuale, ma non troppo
“Volevamo che il film avesse l'aspetto del fumetto. Non dunque attori simili ai personaggi, ma esattamente identici”. Così Jackson esprime la filosofia dietro “Tintin”, e l'idea di creare un ibrido tra animazione e cinema live action, in modo da riscuotere i vantaggi di entrambi. “Ho sempre pensato – gli fa eco Spielberg – che, anche se nel cinema dal vivo costumi e parrucche aiutano a immaginare l'ambientazione, alla fine tutto si riduce a due attori che si guardano negli occhi e recitano insieme. I nostri attori indossavano tute per il motion-capture, una videocamera puntata in faccia e avevano dei puntini sul viso. Dopo averci riso su per dieci minuti, si sono messi al lavoro interpretando i loro personaggi. Credo che il segreto della recitazione sia avere una grande immaginazione e portarla sul set ogni giorno”.

La tecnologia performance capture ha concesso naturalmente qualche trucco in più: come ad esempio la possibilità di scritturare Simon Pegg e Nick Frost nei panni dei detective Thompson e Thomson. A donare i propri movimenti e il tono delle proprie voci al resto dei personaggi, troviamo Jamie Bell (Tintin), il veterano del mo-cap Andy Serkis (Haddock), Daniel Craig (Ivanovich Sakharine), Cary Elwes e Toby Jones.

Andy Serkis è il Capitano Haddock

Tecnologia a parte, ciò che conta è sempre il cinema: “Credo che il pubblico capirà, dopo cinque minuti di film, che il mezzo non è il messaggio, i personaggi e la storia lo sono. Se il film funziona ci si dimentica presto di come sia realizzato, quel che conta è divertirsi”. Questo è Steven Spielberg, e per questo amiamo i suoi film.

Le avventure di Tintin: Il segreto dell'Unicorno sarà distribuito nei nostri cinema da Warner Bros. a partire dal 28 ottobre, e verrà proiettato in anteprima al Festival di Roma.