Il cecchino

Il cecchino - Poster

Il capitano Mattei sta per arrestare una famigerata banda di rapinatori di banche, quando un cecchino appostato sul tetto di un edificio spara contro i poliziotti per permettere ai suoi complici di fuggire. In seguito al grave ferimento di uno di loro, i rapinatori si ritrovano costretti a cambiare i propri piani, rifugiandosi presso lo studio di un medico e rimandando in questo modo la spartizione della refurtiva. Mentre il capitano organizza una feroce caccia all'uomo, per ognuno dei criminali inizia la discesa all'inferno.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Le guetteur
GENERE
NAZIONE
Francia
REGIA
CAST
DURATA
89 min.
USCITA CINEMA
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2012

Una panoramica aerea di Parigi ci introduce a Il cecchino (Le guetteur), il nuovo film di Michele Placido che il regista pugliese ha realizzato in Francia tramite una co-produzione italo-franco-belga. L'ambizione di raccontare un moderno polar non manca, ma Placido cade vittima di una sceneggiatura a dir poco squilibrata e improbabile.

La trama: il commissario di polizia Mattei (Daniel Auteuil) dà la caccia a un cecchino, Vincent Kaminski (il regista de I fiumi di porpora Mathieu Kassovitz), colpevole di aver ferito diversi suoi uomini per coprire la fuga di una banda di rapinatori. Ma nel frattempo la banda ha problemi tutti suoi: un medico della mala (Olivier Gourmet) con un passato oscuro ha messo gli occhi sul bottino.

Entrati in sala ci aspettavamo un film ambientato sui tetti di Parigi, tra inseguimenti spericolati a piedi e sequenze cariche di tensione in cui Auteuil avrebbe fatto da bersaglio mobile per le strade della metropoli francese. Il cecchino, invece, ci porta su territori meno battuti e almeno in questo tenta qualcosa di interessante. Il problema è che per amore di noir e per voler essere il più cupo e imprevedibile possibile, lo script deraglia totalmente nella seconda metà, perdendo più volte il filo del discorso, introducendo sottotrame attaccate con la colla e lasciandosi totalmente andare alle incongruenze narrative.

Un vero peccato, perché invece Placido fa il suo sporco lavoro, con una capacità di sintesi registica a cui da sempre aspira, a cui si è avvicinato con il pur buono Vallanzasca, e a cui sembra finalmente approdato. Merito anche della professionalità d'Oltralpe, il lavoro sul sonoro, sul montaggio – tutte cose che da noi fanno in qualche modo ma che regalano tanto a un film in termini di spettacolo. La fotografia di Arnaldo Catinari, d'altro canto, convince meno nel suo tentativo di scimmiottare i toni cupi virati al blu che già si sono visti in analoghi noir francesi moderni come i sopravvalutati 36 Quai des Orfèvres e L'ultima missione di Olivier Marchal. Sì è un polar, è disperato e pessimista: lo abbiamo capito anche senza la fotografia buia.

Di Marco Triolo