White God: Sinfonia per Hagen

White God

Una disposizione di legge in Ungheria, nel favorire i cani di razza, prevede l'applicazione di una tassa gravosa sui cani meticci. Così i proprietari cominciano ad abbandonarli e i canili diventano rapidamente sovraffollati. Quando il padre abbandona per strada il suo cane Hagen, la tredicenne Lili, con il cuore spezzato e detestando il padre, si prefigge di ritrovare il suo cane e portarlo in salvo...

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Feher isten
GENERE
NAZIONE
Magyarország
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
Bolero Film
DURATA
121 min.
USCITA CINEMA
09/04/2015
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2015
di Mattia Pasquini

Ci sono forse diversi modi per approcciare un film come White God, e ognuno conduce a destinazioni diverse. Con buona pace di un punto di partenza importante come quello del Premio per il Miglior Film della sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2015, lo sviluppo dell'iniziale relazione tra una bambina particolarmente indipendente e un cane di strada dal cuore grande finisce per dividersi equamente tra spunti interessanti e derive rischiose.

D'altronde come per il White Dog di Fuller (film del 1982 il cui intento di denuncia e di invito alla tolleranza portÒ a qualificarlo paradossalmente proprio come razzista), al quale questo rimanda, la difficoltÀ spesso È nel riuscire a trasmettere il messaggio voluto. E per farlo sono indispensabili equilibrio nella narrazione e chiarezza di intenti. Purtroppo l'incostanza del primo finisce per condizionare i secondi, nonostante i riferimenti siano scelti accuratamente.

Non una novitÀ per l'ungherese KornÉl MundruczÓ, giÀ a Cannes con i precedenti Johanna (una rivisitazione ospedarliera di Giovanna d'Arco) e Tender Son (ispirato 'lontanamente' al Frankenstein di Mary Shelley), che stavolta mescola il pifferaio di Hammelin al Signore delle Mosche, Dickens a Marx, fino a riecheggiare il The Search di Michel Hazanavicius, soprattutto nel didascalismo del finale. E per quanto la metafora canina rimandi fortemente anche a memorie orwelliane, sinceramente preferiremmo non vederci un ulteriore strumento di facile presa sul pubblico e di istigazione all'empatia.

Sono molti i fronti che non a caso si aprono via via nellla lunga ricerca della giovane Lili del 'suo' Hagen, un meticcio senza casa e senza padrone. Nemmeno Lili stessa. Destinato al canile e oggetto del disprezzo e della mala fede di quanti incontra e che vedono nel suo esser 'emarginato' un pericolo a prescindere. L'allegoria È semplice, e senza tempo. Per questo dispiace ancora di piÙ quando - come detto - le ottime premesse si perdono in eccessive sottolineature e in slanci irrealistici che non riusciamo a giustificare come iperboli congenite di una tale figura retorica (dalla forza della musica alla organizzazione del branco o alla sua reazione all'ingiustizia e alla morte).

Ci sono sicuramente forza, anche espressiva, e tensione. Si cerca senza pudore - e con un pizzico di calcolo - la brutalitÀ, anche se la violenza È insostenibile piÙ per le immagini che evoca che per la effettiva realizzazione (spesso a causa di un montaggio abile ma poco convincente). Ma resta il dubbio che se non fosse il 'miglior amico dell'uomo' il protagonista di una tale favola morale - e di molte situazioni da 'pubblicitÀ progresso' (su tutti l'abbandono in autostrada) - quel senso di inquietudine e l'irritazione che in alcune scene È difficile non provare forse non sarebbero cosÌ profondi e persistenti…