Il ponte delle spie

Il ponte delle spie

James Donovan, un avvocato delle assicurazioni di Brooklyn, si trova coinvolto al centro della guerra fredda, quando la CIA gli dà il compito di negoziare il rilascio di un pilota americano che è stato catturato.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Bridge of Spies
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
DISTRIBUZIONE
20th Century Fox
DURATA
141 min.
USCITA CINEMA
16/12/2015
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2015
Spesso, ormai, l'attesa che si crea intorno a un film vive di foto rubate dal set, clip esclusive, teaser montati con cura… Immagini, insomma, capaci di creare delle suggestioni e stimolare la nostra fantasia. Nel caso di Steven Spielberg - e del suo nuovo Il ponte delle spie/The Bridge of Spies - questa macchina risulta distraente, se non inutile.
 
Non servono accorgimenti particolari con un regista come lui, abile come pochi nel creare atmosfere, e con un direttore della fotografia come Janusz Kaminski (già Premio Oscar per Schindler's List e Salvate il soldato Ryan). Semmai si rischia, vedendo Tom Hanks aggirarsi per una Berlino Est ricostruita, di finire con l'immaginarlo in un altro La talpa… E non ci sarebbe nulla di più fuorviante. Nonostante la storia raccontata sia quella vera dell'avvocato newyorkese James B. Donovan che nel 1957 riuscì a negoziare il rilascio del pilota Francis Gary Powers, scambiandolo con la spia russa Rudolf Abel (interpretato magistralmente da Mark Rylance, nel rapporto di Hanks con il quale sta forse la componente principale e più riuscita del film).
 
Dopo un inizio promettente, il crescendo silenzioso e carico di aspettative ci porta rapidamente in un contesto costruito ad arte. Quello di una America in piena Guerra Fredda, pronta a distorcere il concetto di patriottismo e a negare principi e diritti (ma in fondo si parla del Paese che ha sancito il Patriot Act) scagliandosi contro l'eroico uomo comune di turno. Per fortuna ci sono papà Steven e l'immenso Tom Hanks a rendergli onore, mettendo in scena una figura tanto semplice quanto solida. Quella di un ragazzo di Brooklyn cresciuto a buon senso e giustizia, talmente sicuro delle proprie convinzioni da rischiare molto, e da concedersi qualche lampo di ironia e sarcasmo.
 
Chissà se fosse davvero così uno dei più rinomati negoziatori della storia recente degli Stati Uniti, almeno a leggere il suo successivo risultato del 1963 in occasione della crisi della Baia dei Porci a Cuba. Ma tant'è, di fatto questo è il tono scelto da Spielberg - ma soprattutto dai Coen, qui sceneggiatori d'eccezione, più a loro agio con questo tipo di humor - per il suo Spy-Movie. Lirico a tratti, prevedibilmente retorico, purtroppo - e fin troppo - didascalico a tratti. Ma non lo scopriamo oggi. Anche se si avverte meno lo spessore e la profondità ammirati in altre prove. Forse affidati alla storia in sé, alla Storia.
 
Questa compresenza di anime si rispecchia nel procedere affiancato delle diverse vicende fino al loro conclusivo intrecciarsi. E nel cambiamento della forma scelta, prima più frazionata, poi più omogenea. Ma soprattutto permette al film di (ri)parlare al suo pubblico di Guerra (non solo Fredda), di pregiudizi, dei fantasmi americani e di una politica estera mai abbastanza chiara da quelle parti, come anche dell'importanza del singolo individuo rispetto all'interesse di Stato (secondo quel che insegna la retorica nazionalista, e nella realtà) e dalla visione popolare del proprio rapporto con la storia mondiale.
 
Ma soprattutto permette di mostrare - evento incredibilmente raro al cinema - la costruzione di quel muro, che a lungo ha giustificato delle posizioni anacronistiche. E di mettere in scena l'ennesimo grande uomo della porta accanto. Uno di quelli che tanto piacciono a Spielberg e Hanks (e ai Coen, appunto) e che, per quanto a tratti rendano l'epica meno intensa, coinvolgono più di altri. Peccato che a tanto pathos converrebbe meno didascalismo, come dimostra l'inutile e fastidiosa 'riflessione' finale nell'osservare i giochi dei ragazzini di Brooklyn…