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Himizu - La recensione da Venezia 68

Sion Sono firma un'opera cupissima sul Giappone del dopo-tsunami, ma mette troppa carne al fuoco e finisce per perdere il controllo del film

Himizu - Sion Sono, Fumi Nikaido, Shota Sometani

06.09.2011 - Autore: Marco Triolo, nostro inviato al Festival di Venezia
A volte accadono delle tragedie così immense, da travolgere un intero paese. E' il caso del terremoto e dello tsunami che l'11 marzo 2011 hanno scosso il Giappone, non soltanto devastandone le coste ma anche le vite delle persone che nel disastro hanno perso tutto. Su un gruppo di sopravvissuti, e in particolare su un adolescente rimasto senza punti di riferimento, si concentra “Himizu” di Sion Sono, pellicola che, curiosamente, nel giorno de “La talpa” (qui la recensione) porta il nome di una talpa giapponese.

Il mondo di Sumida è stato profondamente sconvolto dall'immane catastrofe che ha spazzato via la sua casa e le sue certezze. Ora vive con la madre in una baracca, intorno alla quale si è formato un accampamento dove altre vittime dello tsunami sopravvivono giorno dopo giorno. Ma Sumida è anche perseguitato da un padre alcolizzato, che ha pure contratto un debito con la Yakuza, e da una compagna di classe che lo assilla con il suo comportamento sopra le righe. Ben presto, sarà trascinato a fondo dal desiderio di vendicarsi di tutte le violenze subite.

Himizu”, tratto dal manga di Minoru Furuya, è un film urlato: non tanto e non solo perché i protagonisti non fanno che urlare e prendersi a botte per due ore, quanto perché è come se, nel voler sottolineare oltre ogni ragionevole dubbio i temi del suo racconto, Sono abbia utilizzato il proprio film come un megafono attraverso cui gridarli al mondo intero. La pellicola parte anche bene, con alcune suggestive scene riprese tra le rovine nelle campagne giapponesi e un paio di intuizioni felici: da un lato, i giovani protagonisti anelano all'assoluta mediocrità della vita, aggrappandosi con le unghie al bisogno di tornare alla normalità. Dall'altro, c'è il senso di un paese sconvolto, allo sbando, dove tutto è ribaltato. I ragazzi sono costretti a prendere decisioni da adulti, ma non hanno guide e commettono errori. Gli adulti, da parte loro, sono visti come figure altamente negative, incapaci di rimboccarsi le maniche per sistemare dei problemi che, forse, c'erano già ben prima dello tsunami. Ne esce un Giappone violento, brutale, dove il futuro è qualcosa di melmoso e cupo.

Peccato che Sono ripeta con insistenza gli stessi concetti per due ore, realizzando un film didascalico e pedante. La messa in scena è poi davvero soffocante: ogni singola sequenza è studiata e composta come fosse una scena madre, e il regista sembra davvero incapace di lasciare che per un attimo il film prenda un po' d'aria, incapace di mettersi da parte anche solo per un secondo per lasciare che siano le azioni dei personaggi, e non i dialoghi o la regia, a dire qualcosa sui loro sentimenti. Verso la metà, Sono perde totalmente il controllo della situazione, e il film ne risente pesantemente, vagando tra commedia, tragedia, realismo, surrealismo, senza sapere esattamente che strada prendere. Troppa carne al fuoco non giova, e non era nemmeno indispensabile visto che i nuclei tematici c'erano eccome, ed erano molto forti.

La palma del più fastidioso personaggio femminile a memoria recente va poi senz'altro alla Chazawa di Fumi Nikaido, talmente opprimente con le sue mossette e la sua incontrollabile logorrea da spingere più volte lo spettatore ad augurarsi che faccia una brutta fine. Trattandosi della co-protagonista del film, non può trattarsi di un buon segno.

Per saperne di più:
Sion Sono, dal manga allo schermo

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