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TGLFF: a Torino una settimana dedicata a tolleranza e amore per il cinema

Dal 30 aprile riparte la ventinovesima edizione del Torino Gay & Lesbian Film Festival. L'intervista al direttore Giovanni Minerba 

29.04.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Sono passati più di cinque minuti dall'inizio della nostra intervista a Giovanni Minerba, direttore del Torino Gay & Lesbian Film Festival, e il termine più gettonato della conversazione è l'espressione “Questi film”, come se fossero alieni o troppo particolari: “Non lo sono. L'unica differenza tra questi film e quelli mainstream sta nelle tematiche affrontate. Temi che in Italia sono molto delicati da affrontare, film che sono difficili da trovare in circolazione".



Dal 30 aprile al 6 maggio la ventinovesima edizione del TGLFF invita il pubblico di Torino e i visitatori provenienti da fuori a sette giorni di ottimo cinema nel nome della curiosità, della tolleranza e dell'amore per la settima arte: “Ci rivolgiamo a tutti e ci vengono a vedere un po' tutti – continua Minerba - chiaramente la maggior parte dei nostri spettatori è rappresentata dalla comunità LGBT, ma abbiamo anche un pubblico diversificato”. Come nel caso del Torino Film Festival, la città accoglie questo evento con entusiasmo e interesse: “I torinesi amano le belle cose. Questa è la città che ospita il TFF, il Festival Cinemambiente, il Museo del Cinema e il nostro Festival. Tante cose nascono a Torino, perché c'è un interesse generale verso la cultura: anche per questo le sale del nostro festival sono sempre piene”.

Qual è l'invito del Festival verso uno spettatore etero che non ha mai visto film a tematica gay?
Se ha qualche problema con questi temi lo inviterei a vedere qualsiasi film che passa al Festival, se invece è uno spettatore che va in sala di frequente allora non credo ci sia bisogno di un invito particolare, perché il cinema lo ama già. Buona parte dei nostri spettatori preferisce non perdere un bel film destinato a sparire, piuttosto che vedere un altro film facilmente rintracciabile in svariate copie nella maggior parte delle sale italiane.


Un'immagine di Bananot (Cupcakes), produzione franco-israeliana

Dunque quanto i film presentati al Festival sono invisibili? Quanto non arrivano nelle sale durante la stagione cinematografica?
In Italia ovviamente c'è una visibilità minore rispetto all'estero, dove buona parte di questi film trova distribuzione sia sugli schermi o almeno in Home Video. È un dato importante, perché vedere questi film vuol dire anche avere un'idea di quello che succede in giro per il mondo, cinematograficamente e rispetto ai temi affrontati.

Giunti alla ventinovesima edizione, quanto è cresciuta in Italia la curiosità del pubblico verso "questi film"?
Sempre di più se consideriamo che all'inizio questo nostro Festival aveva luogo in un'unica sala. Grazie al Museo del Cinema siamo riusciti a passare a due sale e finalmente a tre. È un grande segnale vedere che spesso tre sale non bastano.

Così come è un grande segnale il fatto che siano state proprio alcune associazioni di genitori a chiedervi di proiettare all'interno della vostra manifestazione un film per famiglie come Ribelle – The Brave...
Proprio così, è un segnale di tolleranza molto importante. Il film ci è stato chiesto dall'associazione Giovani genitori - ovviamente sto parlando di genitori etero - insieme alla associazione Famiglie Arcobaleno. A Torino questi genitori organizzano insieme al Museo del Cinema un evento che si chiama “Cinema con bebè” che ha luogo due volte al mese. Nel momento in cui ci hanno proposto di proiettare un film per famiglie, non abbiamo detto di no. È importantissimo riuscire a coinvolgere una serie di persone – in questi casi le famiglie di giovani genitori – in un festival come questo. Vuol dire che c'è gente che la pensa diversamente nel nostro Paese.


Merida, eroina di Ribelle - The Brave, evento speciale del TGLFF

Dunque possiamo affermare che in quanto a tolleranza il nostro Paese ha fatto passi in avanti...
Be' rispetto a trenta anni fa di sicuro. Ma non c'è ancora una cultura cinematografica supportata dai distributori, perché questi film – tranne casi particolari – non arrivano mai nei cinema. Questo solleva dubbi sul fatto che possano disturbare una parte di contribuenti. Dunque i distributori ci pensano due volte prima di comprare un film gay e lanciarlo a livello nazionale. Anni fa però era peggio.

Queste tematiche vengono trattate anche dai cineasti italiani?
Raramente, a meno che non si tratti di giovani autori o di persone affermate come Ferzan Ozpetek.

Come si spiega il fatto che il nostro Ferzan sia uno dei pochi a farlo?
Semplicemente perché ci ha messo la faccia, vista la sua dichiarata omosessualità. Eppure il suo talento va al di là dal raccontare storie esclusivamente gay, una cosa che altri autori omosessuali tendono a non fare: quella di non spostarsi da questi temi.

Usciamo un attimo dall'Italia, secondo le vostre ricerche come va in Russia? Quanti autori realizzano film a tematica gay nonostante le leggi di Putin?
Il nostro Festival include una piccola sezione creata per dare un segnale politico rispetto a quella che è la situazione in Russia. All'interno della sezione abbiamo recuperato tre corti, un documentario di un autore russo che però vive in America e un documentario sulla condizione omosessuale in Russia. È anche vero che alcuni autori russi non sono stati troppo disponibili a proporre i loro film in un Festival come il nostro: la situazione dunque è molto delicata.


Un'immagine da Nomansland (Danimarca)

Spostiamoci a occidente: il resto degli europei dedica spazio a questi temi al cinema?
Negli ultimi anni succede sempre più spesso: mi vengono subito in mente le immagini degli ultimi film francesi. Uno di questi, uscito qualche settimana fa in Italia, è il documentario su Yves Saint Laurent. Bisogna dire che nel resto d'Europa succede l'esatto contrario di quello che spesso accade qui da noi: i film dedicati a queste tematiche non vengono girati esclusivamente da autori gay.

Andando ancora più a Ovest verso il mercato cinematografico di riferimento, e cioè quello americano: Hollywood rimane seria al riguardo? Oppure rischia di essere superficiale?
La maggior parte delle volte che Hollywood affronta questi temi lo fa in maniera molto seria, rimanendo ovviamente con gli occhi puntati al pubblico e al botteghino. Il che va benissimo, dato che un produttore hollywoodiano deve comunque portare a segno il suo investimento. Penso soprattutto a un film recentissimo come Dallas Buyers Club, che ha avuto la sua fortuna pur affrontando un tema molto difficile. Se poi consideriamo film come Milk di Gus Van Sant, notiamo come il ritorno economico può non essere sempre l'obiettivo primario. Direi dunque che Hollywood non si tira indietro e non si pone mai problemi.

Li abbiamo elencati quasi tutti, resta da capire in quale zona si ha più difficoltà a vedere questi film...
In teoria quelli con la mente meno aperta dovrebbero essere quelli dei paesi dell'Est, anche se qualcosa si muove anche lì. Eppure, se devo fare un paragone, forse i peggiori siamo noi italiani. Se uno guarda la condizione politica in alcuni Paesi, capisce che si trovano in quella condizione e dunque pagano le conseguenze. Noi siamo in una condizione migliore in quanto a diritti umani e civili, e in teoria dovremmo stare meglio, no? La verità è che in Italia la situazione è quasi uguale a quella di quei Paesi.


Giovanni Minerba, direttore del Torino Gay & Lesbian Film Festival

Tematiche gay a volte sono anche sinonimo di colore e feste a tema. Il vostro Festival può considerarsi una Festa?
Senza menzionare tutti gli eventi collaterali che vengono organizzati nel corso della settimana del Festival, per me diventa già una Festa all'interno dei cinema, dove la gente fa la coda, sorride, chiacchiera e si confronta sui film visti e poi vengono a ringraziarci. Questa sì che è una festa.

Per saperne di più sul Torino Gay & Lesbian Film Festival (30 aprile - 6 maggio), i film presentati nel corso dell'evento e gli orari delle proiezioni, visitate il sito ufficiale, www.tglff.it
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