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Paolo Virzì e la necessità di far luce sull'oscurità

One on One con il regista che ha appena chiuso il suo primo TFF e che adesso è pronto a presentare il primo thriller

06.12.2013 - Autore: Pierpaolo Festa
Piero Mansani, Marta Cortese, Tanino Mendolia, Caterina Iacovoni. Comincia così l'appello di Paolo Virzì, a cui basta pronunciare nome e cognome di alcuni tra i suoi personaggi per riportarli in vita davanti a noi, riecheggiando quei suoi film che ci hanno fatto sorridere tanto quanto ci hanno angosciato. Il pensiero dunque va a Ovosodo, Tutta la vita davanti, My Name is Tanino e Caterina va in città, lavori con cui Virzì ha provato a raccontare la purezza apparentemente invisibile all'interno di un Paese allo sbando. “E' un gioco personale il mio. Mi capita sempre di pensare a questi personaggi e domandarmi che fine abbiano fatto” – ci racconta il regista che ha appena concluso il suo primo mandato di direttore del Torino Film Festival.

Paolo, c'è dunque uno di questi tuoi film al quale sogni di regalare un sequel?
Finora non ho mai voluto dare la sensazione di rimestare per forza nella stessa zuppa. Nel caso si aprisse un'opportunità di allargare il respiro della narrazione potrebbe essere interessante pensarci con Il capitale umano, il film che ho appena finito. Perché per farlo ci siamo ispirati a un romanzone (quello di Amidon Stephen, edito da Mondadori, N.d.R.) del quale abbiamo dovuto sacrificare grandi parti di trama. Sarebbe interessante arricchirle di nuovi episodi e magari girare uno spin-off.


Virzì sul set de Il capitale umano insieme a Bentivoglio e Gifuni

Come mai questo film proprio adesso: da dove è partita la necessità di dar voce al tuo "lato oscuro" e passare a un thriller?
Perché sento che è un compito importante. Adesso più che mai. Stiamo attraversando un momento terribile e le vittime che pagano il prezzo più alto sono in particolare le persone più fragili: i più giovani che scontano gli errori di una generazione di adulti immaturi. Mi è sembrata un'occasione ideale realizzare questa specie di thriller/noir per fare un viaggio attraverso delle famiglie di ambiti sociali diversi e per raccontare questo tempo nostro, non attraverso un saggio pretenzioso ma con una storia appassionante e avvincente.

Sarà interessante capire dove si colloca questo tuo nuovo film e se si armonizzerà con i precedenti. A Torino presentavi i titoli del Festival come un unico bellissimo film. Possiamo fare questo discorso anche per quanto riguarda i tuoi lavori? Possono essere considerati un unico lungo film?
Tocca a voi dirlo. Può darsi che quando sarò finalmente in una tomba e si potrà riguardare tutto quello che ho combinato, penserete che si tratta di un unico film che parlava di persone fragili, tendenzialmente subalterne. Persone mai potenti che ce la mettevano tutta per essere felici e farcela. E forse ogni personaggio era parente dell'altro, come se fosse un lungo racconto corale. Però questo discorso fatelo voi.

Il Festival di Torino è anche noto per aprirsi al cinema horror e alla fantasia. Paolo Virzì quanto ama questi generi? Quanto sei horror?
Non troppo. Mi piace il thriller ma non amo lo splatter. Poi ci sono le eccezioni: L'inquilino del terzo piano di Roman Polanski è un film che mi ha fatto emozionare. Mi sono portato a lungo quelle inquietudini. La fantascienza, invece, mi piace molto quando praticata con intelligenza e immaginazione.


Direttore artistico del Torino Film Festival

I tuoi film fanno sorridere ma pongono anche dei quesiti finali in grado di angosciare un po' lo spettatore. Tornando al discorso dei sequel, è inevitabile chiederti e sei un tipo da happy ending o meno...
Né l'uno né l'altro. Non mi piace mandare a casa le persone avvilite, allo stesso tempo non mi piace il melenso. Dopotutto, nella vita l'unico finale possibile è la morte. Noi cerchiamo sempre di andare avanti.

A Torino hai portato avanti il discorso tra Festival cinematografico e serie televisive, presentando ad esempio le prime immagini delle serie Gomorra e 1992. Quanto la serialità, ormai spopolata negli USA, sta influenzando anche il nostro cinema?
È un fenomeno che va giustamente registrato e sancito come tendenza fondamentale di narrazioni cinematografiche contemporanee. Quelle che costituiscono le eccellenze della narrazione per il piccolo schermo non a caso calamitano attori e registi cinematografici di grande importanza. In questo modo si è aperto uno spazio di libertà e allo stesso tempo siamo tornati ad avere un pubblico più esigente, più colto. Spettatori ai quali si può rivolgere una narrazione controversa con zone di ambiguità che sono tipiche del cinema più per adulti. Un bellissimo superamento di quei limiti terribili della fiction e della TV generalista che invece sono una degenerazione della narrazione cinematografica.

Ci sono registi che in occasione di una nuova produzione tornano a vedere il loro film del cuore, forse per rilassarsi e scaricare la tensione prima di battere il primo ciak. Questo discorso vale anche per Paolo Virzì?
Diciamo che tengo sul comodino la mia medicina. Ce l'ho sempre lì pronta e me la porto dietro come un talismano: una copia di Otto e mezzo di Fellini. Il film induce a una specie di disperato ottimismo e sembrerebbe spingersi ad accettare, con il sorriso tra le labbra, la nostra imperfezione, la nostra confusione. Quando sono nel mezzo di una situazione caotica, invece di prendermi tutta l'angoscia, dentro di me faccio suonare quella celebre musichetta della scena finale, e improvvisamente vedo gli ostacoli sotto una luce anche lieta. A Torino abbiamo presentato la versione restaurata, realizzata a vent'anni dalla morte del maestro. Ne vado orgoglioso.

Chiedo spesso se hai qualche rituale prima di iniziare un nuovo film. Sei un tipo superstizioso?
Superstizioso no, però ho rispetto e attenzione per il sovrannaturale e qualche volta mi è capitato di fare conversazione con dei veggenti. A Torino, ad esempio, ho parlato con dei maghi che mi raccontavano diverse cose. Non era la prima volta che lo facevo.


Insieme alla moglie Micaela Ramazzotti

Di cosa parli con loro?
È capitato anche di parlare del mio lavoro. Ricordo ancora un mio viaggio a Cuba in cui ho incontrato un esperto della magia popolare. Lui non mi aveva mai visto prima, eppure mi aveva inquadrato alla perfezione: “Che lavoro strano che fai! - mi diceva - Ogni tanto stai a casa da solo in ciabatte nel silenzio e poi improvvisamente ti ritrovi in mezzo a un sacco di gente a urlare”. Ero molto contento e sorpreso. Pensavo a quanto questo mio mestiere abbia due facce: una appartata, intima e solitaria quando scrivi i film e l'altra nel torrente della troupe, quello delle intemperie. Questo è il momento che lo rende più emozionante. La verità è che questo è il lavoro più divertente che io conosca.

Verdone tempo fa mi raccontava la sua necessità di lavorare con attori più giovani. Dice che gli danno energia e lo fanno ringiovanire. Vale anche per te?
Non lo so, a me piacciono i racconti di formazione, anche come lettore e spettatore. Non c'è niente di più appassionante della vicenda di qualcuno che si trova a voler scoprire le gioie e i dolori e le pene della vita. Ecco perché spesso mi capita di lavorare con ragazzi, perché è quasi il racconto per eccellenza: quello dell'ingresso nella vita adulta. Penso a Charles Dickens e al fatto che il compito del narratore è raccontare la vita. E non c'è nulla di più forte ed emozionante dello sguardo di un puro.

Dunque i puri di questo Paese sono soprattutto i giovani?
Per forza. Io ho tre figli e sono loro il mio conforto. È bellissimo notare le loro tre età diverse: Ottavia è la più grande e ha ventiquattro anni e in lei vedo la rabbia e l'energia di quell'età. Jacopo ne ha quattro e in lui noto la curiosità e l'ingordigia verso il gioco e verso la vita. Anna, invece, ha solo sette mesi e guarda il mondo con tanto stupore, quasi come se fosse extraterrestre. Sono loro le cose più belle che posso guardare.

La nostra ultima domanda è quella tradizionale: che poster avevi in camera da ragazzino?
Bruce Springsteen con i capelli arruffati sulla copertina di Darkness on the Edge of Town. Conosco a memoria quelle canzoni. Naturalmente avevo anche quello di Robert De Niro in Taxi Driver.

Il nuovo film di Paolo Virzì, Il capitale umano, arriverà sugli schermi dal 9 gennaio, distribuito da 01 Distribution.