
Venezia 69: parlano Ciprì e Servillo
Tratto dal romanzo di Roberto Alaimo, È stato il figlio racconta di una famiglia palermitana negli anni Ottanta, segnata da una tragedia (la morte di una figlia) che si trasforma in un'inaspettata benedizione per poi innescare un effetto domino che porta alla distruzione totale di qualsiasi senso di amore e struttura famigliare. Una storia potenzialmente fortissima e una regia attenta e visionaria non bastano, però, a fare un film: il risultato è che Ciprì azzecca diverse sequenze illuminandole con una fotografia arancione che trasuda male di vivere e vite sbiadite. Ma queste sequenze forti – ad esempio la visita a un vecchietto diventato strozzino, o il protagonista Nicola Ciraulo che si bea della sua nuova Mercedes – sono spalmate all'interno di una trama che sembra procedere a naso.
La cosa migliore del film è Toni Servillo che non fa Toni Servillo. Non è una critica all'attore, che chiaramente è un grande professionista e svetta su buona parte dei suoi colleghi, ma è un dato di fatto che, in Italia, appena si scopre un bravo interprete lo si mette al servizio di parti sempre uguali. A Servillo è successo, ma in questo caso si allontana dal suo caratteristico “uomo di ghiaccio” per interpretare Ciraulo, un personaggio squallido, ignorante, avido e irascibile. Un padre padrone incapace di dare un futuro alla sua famiglia. Servillo si è davvero calato nel ruolo con un impegno sempre più raro nel cinema italiano: non solo studiando il dialetto di Palermo, ma anche colorandosi i capelli di nero e sfoggiando un paio di baffoni d'altri tempi.

Il trailer di E' stato il figlio
Tirando le somme: avercene di registi che si adoperano così tanto per “girare” davvero un film, anziché limitarsi a puntare la cinepresa e gridare “Ciak”. Ma Ciprì ha bisogno di mettere a fuoco meglio le sceneggiature per regalarci qualcosa di veramente indimenticabile.
E' stato il figlio è distribuito da Fandango.