
Willem, qualche tempo fa ti abbiamo visto in “Antichrist” di Von Trier sul sesso e sulla natura malefica del mondo. Adesso eccoti nel film di Abel sempre alle prese con il sesso e la fine della Terra… cosa dobbiamo aspettarci da te la prossima volta?
Non è che penso in questi termini, non potrei mai calcolare la mia carriera in questi termini!! (si fa una gran risata). E poi, trattare la fine del mondo in questo film è stato solo un mezzo per raccontare altro, ad esempio quanta spiritualità ci sia intorno a noi.
C'è un qualche punto di incontro tra Von Trier e Ferrara?
Sia Lars che Abel sono persone più carine di quanto si dica. Lavorano sodo e sui loro set io mi diverto di più. Questi registi ti nutrono artisticamente: quando lavoro con loro, mi sento libero da tutta quella merda che sta attorno a questo business.
Cosa puoi dirci del tuo rapporto con Abel?
Ricordo la prima volta che ci siamo parlati: lui stava cercando gente per “King of New York”. Abbiamo passato ore a parlare. Ho lavorato con lui anche in “New Rose Hotel” e cinque o sei anni fa abbiamo fatto “Go Go Tales”, un film davvero bello. Sapete, quando mi offrono un ruolo, io non scelgo in base alla sceneggiatura, ma in base alle persone coinvolte nel progetto. La sceneggiatura è soltanto una fase del processo creativo.

Sei decisamente un outsider dell’industria hollywoodiana, però di tanto in tanto torni a girare film ad alto budget. Parlaci del tuo rapporto di amore e odio con gli Studios…
Non sono di certo il primo tipo a cui Hollywood pensa quando devono fare un film. Non sono un attore che si è pubblicizzato un’immagine da star. Prendetemi per snob, ma gli attori devono essere quello che vogliono essere. Ci sono superstar che hanno un talento fantastico, ma c’è un prezzo da pagare. A Hollywood non sanno che farsene di me, e per me va bene. Non sono un amante dell’industria, a volte loro pensano di sapere cosa fare con qualcuno e finiscono per distruggerlo.
Come sei sfuggito quindi da questa morsa?
Per ventisette anni ho avuto la mia compagnia teatrale, che era la mia priorità. Il teatro ha impedito altri impegni cinematografici. Continuo ancora oggi a recitare sul palcoscenico, ma non è più una cosa quotidiana. Alcuni a Hollywood pensano che io sia solo il tizio che ha fatto “Speed 2” o “Spider-Man” o “xXx”: quella è parte della mia carriera, ma non tutta la mia vita. Se puoi mantenere una certa flessibilità artistica ed essere comunque abile a lavorare a Hollywood di tanto in tanto, allora questo è il meglio che può capitarti. Ma se ti allontani da Hollywood per un po’, allora rientrarci è la cosa più difficile.
Però tra poco ti vedremo in “John Carter”…
Un film fantastico (qui la nostra anteprima), un grande film live action diretto da Andrew Stanton di "Wall-E". Mi ha affidato il ruolo di un guerriero marziano. Un gigante… e sono stato sei mesi sui trampoli!

Lo scorso anno ti abbiamo visto a Venezia in “A Woman”, diretto da tua moglie Giada Colagrande. Tornerai a lavorare con lei?
Mi piace molto lavorare con mia moglie e supportarla al massimo. Sta sviluppando un nuovo film con lo sceneggiatore di “Strade perdute”, e probabilmente chiederà a me di interpretarlo. Per me va
benissimo.
Cosa ti ha detto Giada della tua prova in “Antichrist”? E in generale come si pone quando devi interpretare scene bollenti sui set?
Prima di tutto, io le racconto ogni cosa, tutto quello che farò sul set. Lo faccio per dormire meglio! A lei sta bene: se faccio il nome di una certa attrice, non mi dice mai di non farlo… piuttosto chiede: “Quell’attrice lì?! Sul serio?!”. In quanto ad “Antichrist” hanno usato una controfigura per i primi piani del pene. Era un omone tedesco che, quando si è presentato per la prima volta, mi ha detto: “Piacere, spero che apprezzerai il mio stile e le mie doti!”. È stata un’idea di Lars, non voleva mostrare me in full frontal per non distrarre troppo la gente, continuava a dirmi che sarebbe stata una cattiva idea.
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