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Cesare deve morire - La nostra recensione

Il grande film dei fratelli Taviani, vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino

Cesare deve morire - Cosimo Rega e Giovanni Arcuri

03.03.2012 - Autore: Pierpaolo Festa
Qualche anno fa ci aveva pensato Al Pacino a esplorare il teatro elisabettiano e i suoi risvolti contemporanei in “Riccardo III”, uno dei film più interessanti ispirati agli scritti del Bardo. Adesso i fratelli Taviani alzano la posta in gioco e ci buttano dentro anche temi sociali ed “evasioni artistiche”. Assistere alla celebrazione dell’immenso potere di Shakespeare vale sempre una standing ovation. Considerato che qui a trattare il bardo ci sono un gruppo di detenuti di Rebibbia pronti a vivere ed evadere con il cuore dalle loro celle e affidarsi all’arte, allora parliamo di applausi a scena aperta.

Cesare deve morire recensione fratelli taviani
L'incontro con i Taviani a Berlino

I registi filmano le persone e i luoghi veri, filtrando il tutto attraverso un bianco e nero introspettivo e realizzando l’incontro perfetto tra teatro shakespeariano e cinema sociale. Bastano una manciata di scene per immergere lo spettatore nell’atmosfera, facendogli dimenticare l’impronta docu-fiction del progetto. L’inizio è ipnotico: i detenuti alle prese con i provini per ottenere i ruoli nell’adattamento. D’un tratto le mura delle celle, i lunghi corridoi e le zone d’aria del carcere diventano un tutt’uno con le sale del potere dell’Antica Roma. La forza visiva trasuda dallo schermo per settantasei minuti di grande cinema.

I veri colpi di genio di “Cesare deve morire” sono rappresentati dalle sequenze in cui i detenuti si lasciano prendere dai pentametri giambici per scatenarli improvvisamente in forti emozioni fuori dal dramma. Momenti in cui la transizione da recitazione a realismo viene eseguita con la massima naturalezza. Il testo shakespeariano prende vita anche lontano dai riflettori e, a quel punto, le emozioni vengono duplicate. Non manca comunque qualche scivolata: si poteva forse tagliare il finale ridondante e la battuta “da quanto conosco l’arte, questa cella è diventata una prigione”, pronunciata da uno dei protagonisti.

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I Taviani vincono il Festival di Berlino

Eppure il bardo arriva più in forma che mai a riprendersi il primato nell’era in cui stanche parodie delle sue storie vengono messe in scena in chiave emo. Il suo linguaggio torna a dominare e primeggiare e il merito è tanto dei Taviani quanto del regista Fabio Cavalli che dirige i detenuti in scena davanti alla macchina da presa dei fratelli campioni a Berlino con l’Orso d’Oro.

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Cesare deve morire", in uscita il 2 marzo, è distribuito da Sacher distribuzione.

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