Biennale Venezia 2013
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Unforgiven - La nostra recensione

Il remake giapponese de Gli spietati di Clint Eastwood funziona, ma non brilla

Unforgiven

06.09.2013 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
Il rapporto tra il western e il cinema di cappa e spada giapponese è da sempre florido e ha dato vita a un dialogo tra generi e nazioni - Giappone e USA, ma anche Giappone e Italia, all'epoca dello spaghetti western. Da questo dialogo sono nati capolavori come I magnifici sette, remake de I sette samurai, e Per un pugno di dollari, "plagio" poi ufficializzato de La sfida del samurai. Kurosawa, da parte sua, non ha mai nascosto il suo amore per i cowboy e l'intenzione di girare western ambientati nel suo Giappone. Il remake de Gli spietati a opera di Sang-il Lee ribalta in un certo senso la tradizione: se di solito era Hollywood a "rubare" idee dal Sol Levante, stavolta avviene l'esatto opposto.

Diretto nel 1992 da Clint Eastwood, Gli spietati è uno dei capolavori del regista americano, western che rientra nella tradizione più crepuscolare del genere, vincitore di quattro, meritatissimi, Oscar (film, regia, montaggio e attore non protagonista, quest'ultimo a Gene Hackman). Il remake, interpretato dalla superstar nipponica Ken Watanabe, non raggiunge decisamente quei livelli, ma è talmente ben confezionato e fedele al testo originario di David Webb Peoples da non poter essere brutto.

Fedele, dicevamo: Yurusarezaru mono, alias Unforgiven, scritto dallo stesso regista, è una riproposizione del film di Eastwood senza grossi cambiamenti. La premessa è la stessa - gruppo di prostitute assolda dei killer per eliminare due coloni che hanno sfregiato una loro compagna - e i personaggi ci sono tutti. C'è il veterano (Watanabe) che ora si è ritirato a fare il contadino ma accetta la missione per mantenere la famiglia. Con lui un vecchio commilitone (il personaggio di Morgan Freeman nel film di Eastwood) e un ragazzo che, in questa versione, fa parte della minoranza Ainu - che nel film fanno un po' la parte dei classici indiani degli western. A cambiare c'è solo il background dei protagonisti, ex samurai braccati dalle forze imperiali dopo la fine dell'era degli shogunati (1868), e quindi la licenza di usare katana oltre che pistole e fucili importati dall'Occidente. Questo mix di tradizione giapponese e modernità occidentale consente anche una ricca varietà di costumi e scenografie.

La regia di Lee è professionale, la messa in scena sontuosa e la performance di Watanabe incolla allo schermo. Ovviamente, essendo tutto una copia, pur se ben fatta, non c'è terreno fertile per elevarsi oltre il compito ben svolto e il remake dignitoso. Ma il film senz'altro piacerà al pubblico affamato di Oriente, filtrato attraverso la narrazione occidentale e dunque appetibile anche da questa parte del mondo. E poi, se non altro, questo Unforgiven fa venire la voglia di tornare a vedere il classico moderno di Clint Eastwood.

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