Chernobyl Diaries - La mutazione
"Chernobyl Diaries", thriller/horror scritto e prodotto dal regista di Paranormal Activity Oren Peli, è diretto da Brad Parker, un esperto di visual effect al debutto come regista. Un gruppo di amici rimane bloccato nella cittadina di Prypiat, un tempo dimora dei lavoratori di Chernobyl, abbandonata dopo il disastro nucleare del 1986.
L'evoluzione dei moderni effetti speciali in CGI ha più spesso
danneggiato che favorito il genere horror, perché l'orrore suggerito fa
più paura di quello mostrato. Ben vengano, dunque, produttori come Oren Peli che credono ancora nei B-movie. Anche se lavorare su un budget
stringato è un dato necessario, non sufficiente per la realizzazione di
un buon horror. E purtroppo questo è il limite di “Chernobyl Diaries – La mutazione”.
Il film segue il solito gruppo di giovinastri americani un po' allocchi,
in viaggio in Europa. I titoli di testa si aprono con un montaggio di
riprese effettuate con la videocamera a mano – una frecciatina al genere found footage che Oren Peli ha contribuito a lanciare con “Paranormal Activity”
– nelle più famose località europee: Parigi, Londra, Roma, Venezia. Il
gruppo decide infine di visitare la città fantasma di Prypiat, vicino
all'impianto nucleare di Chernobyl. Ma qualcosa o qualcuno ancora si
aggira in quell'inferno radioattivo, e li braccherà uno per uno...
“Chernobyl Diaries” tenta di fondere la struttura del found footage con il linguaggio del cinema tradizionale. Ovvero: tutto è raccontato e ripreso da terzi – il narratore onniscente
– ma la scansione degli eventi, il modo in cui sono scritti i
personaggi e la minaccia che non si rivela mai pienamente sono trovate
provenienti dagli horror “fatti in casa” di ultima generazione. Il
problema è proprio questo, però: i migliori esempi di found footage,
come il già citato “Paranormal Activity”, funzionano perché
scatenano la totale identificazione dello spettatore ed evocano paure
primarie, anche se poi di fatto non viene mostrato granché. Qui invece
siamo all'interno di un horror tradizionale, che si palesa come finzione
e non può quindi contare sull'immedesimazione diretta. Morale: se la
sceneggiatura non fornisce spunti degni di nota e la regia langue piatta
sullo sfondo, più che di terrore si rischia di morire di noia.
Non aiuta una sceneggiatura estremamente stereotipata, popolata di personaggi tagliati con l'accetta che prendono sempre le decisioni più stupide.
Il modus operandi è più o meno questo: “Avete sentito quel rumore? Che
cos'era?”. “Andiamo a vedere” – e giù per l'ennesimo minaccioso
corridoio buio. Tra “Hostel”, “The Blair Witch Project” e “The Descent”, “Chernobyl Diaries” è un horror che non dice nulla di nuovo, ma, soprattutto, che non fa paura. Alla prossima, Mr. Peli.
di Marco Triolo