Boris - Il film
Il regista televisivo René Ferretti (Francesco Pannofino) tenta il grande salto: un film d'autore dopo tanti anni di fiction su carabinieri, intrighi ospedalieri e drammi in costume da prima serata. Insomma, un risarcimento dopo tutta una carriera dedicata al brutto. Ma il mondo del cinema è addirittura peggio di quello della tv, perché sotto l'allure del 'salotto buono dell'industria culturale' si nasconde un sottobosco di sceneggiatori ricchi e nullafacenti, attrici nevrotiche, direttori della fotografia che si sentono grandi artisti. E, sopra a tutto, lo spettro incombente del Cinepattone, l'unico vero genere cinematografico che il pubblico apprezza e che, a dispetto dei 'cinematografari' snob, manda avanti la baracca.
Girare un rallenti del giovane Ratzinger che corre felice nei prati per
glorificare la scoperta di un vaccino è troppo anche per Renè Ferretti.
E' questa la goccia che fa traboccare il vaso delle mediocrità
televisive che il regista è disposto a sottoscrivere. Piuttosto la fame e
la depressione… oppure la nuova speranza di percorrere la strada, sì
accidentata, di un cinema senza compromessi con la sua poetica libertà e
le sue tasche vuote. Alla prova dei fatti però la presunta
intellighenzia del Belpaese, depositaria di una cultura lontana dalle
rappresentazioni dozzinali ad uso e consumo del piccolo schermo, si
rivela paludata, inconcludente, vigliacca e non meno tirannica del
sistema cui il povero Renè ha appena finito di ribellarsi. Ed è in
questa paralisi che prospera beato il germe del cinepanettone che
lastrica di asfalto quella via dell'inferno fatta di intenzioni alla
buona più che di buone intenzioni.
Dopo aver raccontato la giungla della tv troppo italiana attraverso gli Occhi del Cuore 1 e 2 e la sue patetiche variazioni all'americana con Medical Dimension, gli autori della fuoriserie "Boris"
alzano il tiro e puntano allo stallo che da decenni tormenta la nostra
industria cinematografica e più in generale un paese che non sa più
esprimersi se non nella cagnara. Si leva così un grido di disperazione contro l'arte del compromesso e della corruzione che arrangia uno sfogo delirante e molto ironico attraverso
l'irresistibile ritratto di una troupe scalcinata e ciabattona composta
da attori sfrontati, dispoticamente introversi o viziosi, direttori
della fotografia inetti e tronfi, amministratori lupi, produttori
codardi e pezzenti, sceneggiatori fanfaroni, precari sfruttati e talenti
umiliati.
"Boris - Il film"
prova così a far esplodere il tappo di indecenza e superficialità che
comprime e soffoca ogni tentativo di evasione, usando gli occhi del
cuore per individuare le falle del sistema. Per scavare il tunnel c'è il
temperino di una risata che investe tutti senza ungersi di smancerie, e in alcuni momenti si raggiungono picchi di lirica genialità. L'amministratore Lopez declassato alla sezione Cinema che teme di prendere la salmonella dai
compagni-colleghi con i golf che pizzicano; il produttore che prova a
finanziare un progetto non commerciale ma poi è costretto a riconoscere
che non ha soldi per tutta questa sensibilità; gli autori che
formalizzano il vuoto creativo nella tecnica dell'impepata di cozze;
l'attrice impressionabile e passivo-aggressiva ispirata sfacciatamente a Margherita Buy,
sono solo alcune delle fantastiche trovate che gli
sceneggiatori-registi scatenano in una prima parte del film davvero
spassosa.
L'operazione di trasferimento sul grande schermo era complessa per due
ragioni: l'ingombrante cast e il pericolo di scivolare in un lungo
episodio-costola. E se entrambi i rischi possono dirsi parzialmente
scansati grazie ad un umile e doloroso lavoro di sintesi sui personaggi
(Stanis il più mutilato) e di rinuncia ai comodi tormentoni, il
granchio più grande viene preso con la carica troppo insistente al
cinema blockbuster che finisce per ridurre, se non vanificare, lo
spirito eversivo di Boris. Gli ultimi venti minuti di
pellicola, infatti, cedono ad una conclusione eccessivamente rumorosa
che, dispiace dirlo, ha il sapore dell'impepata di cozze sopracitata. E
si dimezza così la detonazione di quella che poteva essere una commedia
“stupesce”.