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La strada verso Oriente

La strada verso Oriente

Asia

25.01.2001 - Autore: Adriano Ercolani
Le barriere che per lungo tempo hanno separato la cinematografia occidentale da quella orientale si sono finalmente abbattute; certo, non sono ancora molti i cineasti che arrivano sui nostri schermi rispetto allenorme volume della produzione cinematografica asiatica: la radice del problema è che la politica di distribuzione dei paesi occidentali, per quanto riguarda molti autori, è dovuta principalmente alla partecipazione ai vari festival internazionali, dove le pellicole hanno la possibilità di essere conosciute da un pubblico più vasto ed eterogeneo. Se anche in Italia (e in Europa) sono potute arrivare molte più opere che in passato, questo è dovuto soprattutto alla risonanza che questi film hanno avuto alle varie rassegne come Cannes, Berlino, Venezia, ecc. Nel mercato americano, invece, la difficoltà di una distribuzione capillare è ancora più accentuata, vista la differente impostazione culturale del sistema e lo strapotere della macchina hollywoodiana. Per fortuna in questi ultimi anni sono proprio i cineasti più attenti al panorama internazionale a portare in patria i registi più interessanti: per fare un esempio, è stato Quentin Tarantino a distribuire in America i film di Wong Kar-Wai, a partire da Hong Kong Express (1994) e Angeli Perduti (1995). Tornando al discorso specifico sugli autori asiatici, non si può certo parlare di un gruppo compatto negli intenti, con un programma omogeneo e definito e dalle scelte stilistiche comuni. Si tratta comunque di cineasti che posseggono unidea forte di cinema e la portano avanti con coerenza e linearità, anche a costo di essere tacciati, talvolta, di manierismo: pensiamo ad esempio allo stile asciutto di Kitano, al suo uso ferreo della m.d.p., alla sua poetica della violenza improvvisa e della burla giocosa. Un film di Kitano è immediatamente riconoscibile, sia esso un gangster-movie come Sonatine (1992) o Brother (2000), o una commedia malinconica come LEstate di Kikujiro (1999). Vi sono comunque alcuni cineasti che hanno saputo fare della versatilità il loro punto di forza: il cinema di Zhang Yi-Mou, ad esempio, ha subito dei notevoli cambiamenti sia a livello stilistico sia narrativo, pur rimanendo sempre di alto livello. Se confrontiamo il realismo di La Storia di Qiu Ju (1992) con la fastosità di Le Triadi di Shangai (1995), oppure il lirismo cromatico del suo ultimo La Strada Verso Casa (2000) con la regia nervosa di Keep Cool (1997), non possiamo non accorgerci delle enormi differenze presenti tra le varie pellicole. Yi-Mou è, infatti, regista che preferisce adattare lo stile alla materia trattata, piuttosto che il contrario. In questo senso va sottolineata lapertura anche nel senso contrario: molti autori asiatici, infatti, e per primo proprio Yi-Mou, stanno in un certo senso percependo linflusso dei sistemi produttivi occidentali, almeno nella confezione del prodotto. Kitano, ad esempio, ha girato Brother negli USA; Zhang Yi-Mou con la La Stada Verso Casa, si è avvicinato a molti melodrammi hollywoodiani soprattutto nelluso della fotografia e delle musiche; ma soprattutto una pellicola come La Tigre e il Dragone di Ang Lee, un film di arti marziali girato in Cina con co-produzione americana, è stato concepito per essere accolto da platee tra loro molto distanti. Lautore che può essere considerato come il più interessante di questa nuova ondata venuta dalloriente, è senza dubbio Wong Kar-Wai:. Più a livello formale che narrativo egli si presenta come unico ed innovativo: la cifra stilistica principale dei suoi film è la distruzione dellimpianto narrativo in favore di un cinema fatto di colori, di sensazioni appena accennate (ma sempre forti), di emozioni inespresse. Tutti i suoi grandi capolavori, da Hong Kong Express (1994) a Happy Together (1997) al suo bellissimo ultimo In the Mood For Love (2000) sono film quasi senza una storia, senza un filo conduttore: Kar-Wai lascia che a guidare lo spettatore siano le immagini, la musica, le luci, e costruisce sempre una sorta di melodia visiva incredibilmente suadente ed affascinante, che potremmo definite neo-romantica. Gli interminabili, bellissimi dialoghi tra i protagonisti, servono principalmente per creare unatmosfera decadente ed ineluttabile, non per far evolvere una trama quasi superflua. Cinema dunque non narrativo in senso tradizionale, ma evocativo, impalpabile, soave. Lo stile e la poetica di questi autori non garantiscono una coesione estetica e ununità di intenti. Di certo non ci troviamo di fronte a movimenti che in passato avevano contraddistinto il Neorealismo italiano o la Nouvelle Vague. Probabilmente questi cineasti non posseggono la forza propositiva (ed eversiva) di quei movimenti innovatori. Questo non rende comunque il loro cinema meno affascinante.