The Amazing Spider-Man
The Amazing Spider-Man è la storia di Peter Parker, un liceale emarginato che è stato abbandonato da piccolo dai genitori e affidato allo zio Ben e alla zia May. Come la maggior parte degli adolescenti, Peter cerca di capire chi è e come è diventato la persona che è adesso. Peter cerca la sua strada insieme alla ragazza per cui si è preso una cotta, Gwen Stacy, e insieme i due affronteranno l'amore, l'impegno e tanti segreti. Quando Peter scopre una misteriosa valigetta che apparteneva a suo padre, inizia una ricerca per capire il perché della scomparsa dei genitori - e questo lo porta direttamente a Oscorp e al laboratorio del Dr. Curt Connors, il vecchio socio del padre. Quando, come Spider-Man, entrerà in rotta di collisione con l'alter ego di Connors, Lizard, Peter sceglie di usare i suoi poteri e diventare un eroe, anche se questo cambierà radicalmente la sua vita.
Peter Parker torna a casa dopo una notte passata a rastrellare le
strade, il volto tumefatto. Zia May si avvicina e con orrore e rammarico
chiede “Dove vai? Chi ti riduce così?”. Ecco in due parole cosa rende
diverso il nuovo Spider-Man di Marc Webb: questo è il mondo reale e ci si fa male.
Il regista di “(500) giorni insieme” ha ricevuto da Sony un
incarico improbo: rilanciare la saga di Spider-Man al cinema dopo una
trilogia di successo chiusa solo cinque anni fa. “The Amazing Spider-Man”,
osteggiato da tutto e tutti, riesce tuttavia nel compito egregiamente. E
ciò in gran parte per merito di Webb, inaspettatamente abile nel
gestire le scene d'azione, e della sceneggiatura di James Vanderbilt (e Alvin Sargent e Steve Kloves).
Primo punto a favore di “Amazing”: Peter Parker non è una lagna,
ma un outsider dotato di sarcasmo così come nelle storie originali. I
puristi potrebbero storcere il naso vedendo quella tavola da skate da
cui Peter non si separa mai, ma la rielaborazione dei personaggi e il
loro aggiornamento alle mode correnti è una delle caratteristiche dei
fumetti americani. Perciò non occorre farne una tragedia o men che meno
tirare in ballo “Twilight”.
Innanzitutto perché, come detto, il film è scritto molto bene. Certo, al
centro c'è una love story, ma era così anche nel primo “Spider-Man”, e bisogna ammettere che la Gwen Stacy di Emma Stone è molto più combattiva, interessante e in definitiva “moderna” della Mary Jane di Kirsten Dunst. Il Connors/Lizard di Rhys Ifans è molto simile al Norman Osborn di Willem Dafoe,
ma stavolta gli sceneggiatori sono riusciti a legare le origini
dell'eroe e del cattivo, anziché perdere tempo con due sottotrame
slegate. E l'hanno fatto senza inventare collegamenti strampalati ma
andando a spulciare tra le pagine di “Ultimate Spider-Man”.
E poi c'è Andrew Garfield. L'attore si conferma una potenza e ha un'alchimia spropositata con Emma
Stone. In lui scorre un'energia sotterranea pronta ad esplodere per
ribellarsi contro un mondo che sembra riservargli sempre le sorti
peggiori. La morte di zio Ben non viene modificata più di tanto, e
mantiene quella famosissima morale (“Da un grande potere, grandi
responsabilità”) che “Spider-Man 3” aveva negato. È solo
integrata meglio nella storia, così come è sviluppato in maniera più
sentita il rapporto padre-figlio tra Ben e Peter. Da citare anche il
Capitano Stacy di Denis Leary, un convincente antagonista, e Sally Field nei panni di una zia May meno classica, ma più credibile nel 2012. E l'immancabile cameo di Stan Lee è forse il suo migliore.
Con questo non vogliamo dire che il film sia esente da difetti: il look
modaiolo fra dieci o quindici anni potrebbe essere già vecchio, al
contrario di quello senza tempo scelto da Raimi. Ma il problema principale è che, davvero, è troppo presto: la memoria della trilogia è talmente vivida che a volte procura micidiali deja vu.
In conclusione: “The Amazing Spider-Man” sceglie la strada del
(relativo) realismo rispetto allo stile “fumettoso” di Raimi e forse è
la scelta migliore. Perché se è vero che Peter Parker è l'eroe di carta
più reale di tutti, seppellirlo in un mondo di pixel coloratissimi non
fa che attutire l'empatia nei suoi confronti. Stavolta, al contrario,
Peter è un nervo scoperto, un eroe degli outsider, così come immaginato
da Stan Lee nel lontano 1962.