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Un nuovo Sherlock

I veri classici non muoiono mai (Elementare Watson, elementare...). La BBC riaggiorna con naturalezza le gesta dell'investigatore di Conan Doyle.

Sherlock

15.02.2011 - Autore: Valeria Roscioni
Scusa, sono di fretta, ho dimenticato il frustino da fantino all’obitorio”. Frase breve, ma intensa. A suo modo persino elegante nel suo essere completamente fuori dagli schemi. Così come elegante e fuori dagli schemi è lo Sherlock Holmes tutto britannico, produzione inclusa, di Steven Moffat e Mark Gatiss, di cui era già possibile ricordare un Doctor Who apprezzato e apprezzabile.

Alla moda e affascinante come raramente i suoi predecessori erano stati, ovviamente se si esclude il sempre bello Robert Downey Jr, questo Holmes è burbero come Dottor House, pronto alla deduzione come in una puntata di C.S.I, e sociopatico come solo lui al momento è riuscito ad essere sul piccolo schermo: con grande charme. Gli è stato concesso di vivere in una Londra a noi contemporanea, che ammicca al periodo vittoriano dalle suggestive vie del centro e dai baveri del suo cappotto dal taglio retrò, con una naturalezza che non solo nulla toglie alla geniale penna di Arthur Conan Doyle, ma che riesce a donare ad uno dei classici del giallo per eccellenza nuova vita e significati.

Il notissimo investigatore privato ora è il primo consulente investigativo al mondo, carica da lui inventata per intromettersi, a titolo completamente gratuito, nelle indagini della polizia, il commissario Lestrade in testa, ovviamente per esibire un’intelligenza fuori dal comune e dimostrare l’universale validità del metodo deduttivo nonostante la scientifica e, soprattutto, nonostante lo scorrere del tempo che ha reso questo nostro mondo sempre meno incline ad essere analizzato utilizzando la logica. Nulla di completamente innovativo, eppure questo serial ha in sé l’adrenalina delle prime volte: lo sguardo si sofferma incredulo sull’effetto sfumato che offusca il paesaggio sullo sfondo, sulla famosa casa in Baker Street, così contemporanea eppure così fedele all’immaginario collettivo, su un Watson medico sì, ma reduce dall’Afghanistan, che condivide con il suo coinquilino non solo l’appartamento, ma anche il folle bisogno di adrenalina per vivere. I due esultano di fronte alle sfide postegli dall’assassino di turno e, ovviamente, destano la meraviglia, ma anche il sospetto della società, quella stessa società che ha perso completamente l’ago della bilancia pur essendo convita di aver incasellato ogni cosa a suo posto e che, quindi, non comprende, e perciò teme, la passione pura di questo investigatore per il suo unico sconfinato talento: la logica, arma a doppio taglio che poggia la sua efficacia su una routine che non è più fonte di sicurezza. Tempo, dedizione e abnegazione: ai tempi della regina Vittoria avevano un senso che oggi è stato completamente stravolto e che è sorprendente riscoprire.

Magnificamente supportato da dialoghi che esaltano l’esilarante connubio di genio e sregolatezza propri del personaggio da decenni, allo Sherlock di Benedict Clumberbatch bastano tre episodi da un’ora e mezza per incontrare Sherlock, burlarsi di Lestrade e avere a che fare con il perfido Moriartry. Tre, il numero perfetto per lasciare gli spettatori ad attendere, in trepidazione una seconda stagione che sia, come questa, tutt’altro che elementare.

Sherlock debutta in prima visione assoluta su Joi venerdì 18 febbraio alle 21:00.
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