Alla base dell’incontro organizzato dal Telefilm Festival per interrogarsi sulla crisi dei telefilm, una ricerca condotta dal CeRTA (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi dell’Università Cattolica di Milano) sul riflusso della serialità nel contesto dell’offerta televisiva nazionale.
Con la moderazione del professor Aldo Grasso, lo speciale workshop ha visto la partecipazione di Giorgio Buscaglia (Responsabile Programmazione Cinema e Fiction RaiDue), Laura Corbetta (Amministratore Delegato YAM112003), Carlo Freccero (Direttore Rai4), Marco Leonardi (Direttore contenuti Mediaset Premium), Carlo Panzeri (Vice Direttore Rete4), Alberto Rossini (Direttore editoriale Canali televisivi - Digicast spa), Fabrizio Salini (Vice Presidente Fox Channels Italy) e Luca Tiraboschi (Direttore Italia 1).
Prendendo a campione le ultime tre stagioni, l’indagine del CeRTA si è concentrata sull’offerta, il consumo e le tendenze della tv a partire dallo sciopero degli sceneggiatori che ha bloccato gli Studios nel 2007, un evento traumatico preceduto da quella che si può considerare la Golden Age della serialità. Si vuole riflettere insomma sull’inflessione degli ascolti e della presenza mediatica della serie, e sulla persistenza degli show più classici realizzati prima del maledetto sciopero. E qui ci troviamo ad un bivio: i prodotti sono effettivamente più deboli dopo lo sciopero o le reti generaliste non trovano il coraggio di puntare su nuovi prodotti?
Nella stagione attuale ad occupare la fetta più grande nella torta delle serie è il procedural, il resto sono medical e family drama più consolidati ("Desperate Housewives", per fare un esempio). Il teen drama? Sparito.
E’ vero, nel complesso è calato lo share della tv generalista a fronte della moltiplicazione di piattaforme e canali che il passaggio al digitale ha comportato e l’ascolto delle serie si è quindi proporzionalmente ridotto per ragioni matematiche, ma è vero anche che al decremento sui canali generalisti, non è mai corrisposto un aumento satellitare che ha invece mantenuto sempre stabili i suoi ascolti.
E osserviamo le contromisure esaminate dallo studio, partendo dalla case history di “Lost” che, com’è noto conta su uno zoccolo duro di fedelissimi e ha una struttura così peculiare da meritare un preciso sistema di distribuzione. Il grande recupero degli spettatori dispersi sulla via è arrivato con lo snellimento dei tempi di trasmissione e con il più recente allineamento alla trasmissione USA operato però esclusivamente dalla pay tv che ha così inferto un colpo al download illegale.
Anche la diffusione dei canali +1 e di altre forme di catch up si è dimostrata una soluzione per serie fortemente serializzate come “Desperate Housewives”.
Caso completamente diverso è quello di “CSI” che ha saputo mantenere livelli di ascolto eccellenti sia sulla generalista sia sulla pay. La sua forza? Episodi autoconclusivi e investimento sul franchise che si è tradotto in due spin-off che ultimamente, alla prova degli ascolti, hanno scavalcato la serie madre. Proprio la generazione di serie uguali ha trovato la sua massima espressione muscolare nelle serate tematiche.
E gli ospiti hanno detto la loro.
Giorgio Buscaglia, ammettendo di non individuare nello sciopero la causa della crisi, ha raccontato che per quanto riguarda Raidue il network di riferimento è CBS che in effetti produce quasi esclusivamente procedural e questo spiega la tendenza a trasmettere un genere che comunque non delude mai. I pochi esperimenti fatti con vampiri e simili si sono rivelati poi un sonoro fallimento e questo ha fatto sì che il canale si ritirasse nei luoghi più sicuri del poliziesco.
Le eccezioni sono tutte targate ABC e si chiamano “Brothers and Sisters”, “Desperate Housewives” e “Lost” che meriterebbe un discorso a parte per la difficoltà riscontrata da Raidue nel trattarlo.
Carlo Freccero (Rai4) non si lascia sfuggire l’occasione e interviene condannando la tv generalista sempre più priva di una linea editoriale chiara che renda riconoscibile un canale come succede invece sul satellite dove si spinge tutto sull’identità profilatissima che mette al centro della propria esistenza la serie,
“Chi usa le serie nella tv generalista è di norma un povero disgraziato,” continua Freccero, “il prodotto è predato dai continui spostamenti per ordine di chi coordina i palinsesti. E poi è necessario confidare nella qualità del pubblico. Io credo nel consumo stabile, Padre Pio, i santi, cosa c’entrano con il Telefilm Americano?”
Grasso è d’accordo sulla morte di ogni linea editoriale nella nostra tv generalista e condanna l’accomodamento sul pubblico più indistinto. La serie tv ha il merito di aver riportato in primo piano la scrittura e un pubblico fedele, seppur ristretto, c’è e va rispettato.
La voce di Salini, Vicepresidente della Fox in Italia, ci spiega allora che sulla base dell’osservazione dei network americani, Fox ha scelto di rivolgersi a target mirati con precisione e se il canale dedicato al Crime abbraccia un pubblico più largo, non bisogna sottovalutare la forza dell’identità degli altri canali che grazie alla costruzione di un brand hanno rilanciato anche prodotti più difficili. “La pressione degli ascolti sul satellite non esiste e questo svincola dalla fobia di un mercato che acquista i prodotti solo sulla base degli ascolti complessivi, invece di comprare per target”. E qui gli fa eco Leonardi (Mediaset Premium) che è sostiene: “E’ vero, la garanzia dello share costringe la Tv generalista all’isteria”. E a proposito di isteria, Luca Tiraboschi di Italia 1 chiamato a far luce sul mistero della trasmissione del “Dr. House” (Italia 1, Canale 5, prima serata, seconda serata, martedì, giovedì e via dicendo), non sa che pesci prendere e tornando alle cause della crisi generale individua il nemico nello scenario fortemente competitivo e profetizza il suo incrudelirsi con la frammentazione degli ascolti corrispondente al fiorire di piattaforme diverse. Anche lo sbiadimento delle sceneggiature e la comparsa di prodotti meno efficaci sono però una ragione del calo di interesse. Per non parlare del downloading illegale.
Su questo versante si fa avanti Laura Corbetta che racconta l’esperienza della WebTV, una soluzione al cambiamento delle modalità di fruizione da parte di un pubblico capace di guardare anche 10 episodi consecutivi della sua serie preferita in lingua originale con sottotitoli, e sottolinea saggiamente come segmenti pregiati di audience non abbiano alcuna dignità per le tv generaliste. Internet collega tutti e e si vuole mantenere una presa sul pubblico che di fatto è diverso è bene non ignorare questo aspetto.
E questa è proprio la degna conclusione. La crisi della serie tv riguarda di fatto solo la tv generalista che dovrà ripensare a sé stessa se vuole sopravvivere alla conquista di tv digitali, satellitari, web, on demand e così via.


NOTIZIE
Crisi della serialità?
Il Workshop organizzato dal Telefilm Festival si interroga sulle ragioni della crisi della serie in tv. Una cronaca dell'incontro.

10.05.2010 - Autore: Ludovica Sanfelice