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In America

Fresco di tre nomination agli Oscar arriva in Italia il quinto film dell'irlandese Jim Sheridan ("Nel nome del padre"). Samantha Morton come miglior attrice protagonista, Djimon Hounsou come miglior attore non protagonista e Jim, Naomi e Kirsten Sheridan per la miglior sceneggiatura.

In America

12.04.2007 - Autore: Elena Dal Forno
di Jim Sheridan Con Samantha Morton, Paddy Considine, Djimon Hounsou, Sarah ed Emma Bolger.   Semplice e senza pretese "In America" è il classico film che in Italia definiremmo, seppure di notevole qualità, "favola sentimentale". Negli Stati Uniti, invece, questi film sono accolti benissimo. Primo perchè parlano delle radici dell'America stessa vale a dire quelli dell'emigrazione - in questo caso si parla della storia di una famiglia irlandese - secondo perchè parlano proprio della "famiglia". Il concetto di famiglia, di unione di un nucleo attorno a qualcosa di sacro, è qualcosa che al di qua dell' Atlantico forse è andato perduto per sempre o si sta smarrendo definitivamente, ma, al di là, è ancora il baricentro attorno al quale l'America impernia tutti i suoi valori, passati presenti e futuri. Basta ascoltare un qualsiasi discorso di campagna elettorale per rendersene perfettamente conto.   In più, in questo film in particolare, la famiglia interviene addirittura nella "scrittura" e nella ragione stessa di esistere della pellicola che è semiautobiografica. Anche Jim Sheridan, irlandese, ed è emigrato negli States a cercare fortuna. La sceneggiatura poi è stata scritta a tre mani da Jim e dalle due figlie, Naomi e Kirsten e la dedica del film è per Frankie Sheridan, fratello del regista deceduto durante la sua infanzia, così come il Frankie del film. Insomma ci sono tutti gli ingredienti per fare di una semplice trama famigliare un film di spessore narrativo e di commovente umanità.   All'inizio degli anni '80 Johnny (Paddy Considine), la moglie (Sarah Morton) e le loro due bambine attraversano il Canada ed arrivano in America, fino a toccare una New York che sta scoprendo l'Aids ma intanto piange davanti al film di Spielberg E.T. Siamo davanti ad una Grande Mela degradata ma nella quale è ancora possibile trovare quella solidarietà e quella forza per riemergere. Insieme. L'11 settembre 2001 è solo una vaga allusione, ma non dimentichiamo che questo è uno dei primissimi film girati subito dopo il disastro delle Due Torri e che quella forza di coesione, di unità e di "famiglia a tutto tondo" che si respirò subito dopo il crollo del World Trade Center è qui ben viva. Quella capacità tutta americana di riemergere dalla tragedia e di andare avanti, qui simbolicamente rappresentata dalla perdita di un figlio ed esorcizzata con la nascita di un' altra vita.   Tra spacciatori, tossici, drag queen e malati di Aids (mai accennato, perchè della "malattia" ancora non si sapeva nulla) la famiglia di Johnny riesce a trovare un modo di coesistere e andare avanti, nonostante il palazzo dove risieda sia sfasciato - ricorda molto la casa di Fight Club - e il quartiere non sia dei più sicuri. Johnny fa lavoretti precari in attesa di diventare un attore, sua moglie lo ama ma non riesce a dimenticare il figlio deceduto, le due deliziose bambine di cui occuparsi lo mettono spesso alla prova e poi c è Mateo (Djimon Hounsou). Lui è il gigante buono che in una notte di "magia nera africana" regalerà la sua vita in cambio di quella della nuova nata in casa di Johnny.   Nessun messaggio subliminale, nessun simbolismo non spiegato, Sheridan ci prende per il cuore, ci fa ridere, piangere, soffrire, aspettare e poi trovare la forza di gioire tutti insieme per il pianto liberatorio di una neonata, proprio come si farebbe in una vera famiglia.