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PAZ Paz

La tecnica narrativa usata da Pazienza rasentava spesso la poesia più pura, più bella, sia che scrivesse storie drammatiche, sia che creasse quelle satire dove i personaggi, noti e non, dell'Italietta di allora veniva analizzata, sezionata e messa alla berlina.

Pazienza

19.05.2009 - Autore: Giuseppe Pica
“Andrea Pazienza è riuscito a rappresentare, in vita, e ora anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente chiameremo quella del ‘77 bolognese” Pier Vittorio Tondelli   La Narrazione e la Poesia Andrea Pazienza è stato qualcosa di davvero unico nel panorama fumettistico, artistico e culturale italiano. Odiato e amato da tutta una generazione, l’eclettico artista marchigiano ha svecchiato quasi da solo un modo di raccontare per immagini fino ad allora appannaggio esclusivo di avventure stereotipate e assurdi minestroni metalurlanti. E lo ha fatto con tutta l’incoscienza dell’artista, dello snob che non legge fumetti. Faceva invidia, Pazienza. E rabbia. Per la sua incredibile bravura nel disegno, per la sua apatica parsimonia nel disegnare, per quella sua svogliatezza, che lo portava spesso e volentieri ad immagini o a intere tavole tirate via, raffazzonate, a prima vista quasi sciatte. Eppure, quando in vena, ci regalava, da buon presuntuoso qual era, degli autentici capolavori. Immortali. Pazienza era un genio, sì. Uno dei pochi, veri geni di cui abbiamo avuto la fortuna di leggere. Conosciuto da pochi, ma ammirato da tutta, o quasi, l’intellighenzia che conta(va). Perché capace, con pochi tratti e ancor meno parole (ma solo a volte, perché altrimenti riempiva la pagina peggio di un amanuense), di fulminare il lettore, di spiazzarlo, decostruendo un medium che già allora si considerava abbastanza moribondo. E forse è proprio per questo che Paz ci si dedicava in maniera così completa, così gioiosa, pur assolutamente discontinua (altrimenti ci sarebbe stata fatica, e allora assenza di gioia, e quindi di vera “arte”). Per lui, il segno faceva il fumetto, e il segno non era altro che un qualcosa che doveva unirsi, compattarsi, sino a dar vita ad una vera e propria matematica del segno. Sì, non aveva voglia di fare niente. Eppure ha fatto tutto. La tecnica narrativa usata da Pazienza (anzi, le tecniche, che, come i segni, cambiavano e mutavano quasi da pagina a pagina) rasentava spesso la poesia più pura, più bella, più vera, sia che scrivesse storie drammatiche (Pentothal, Pompeo, alcune trucide avventure di quella specie di anima nera di Massimo Zanardi, suo alter ego fumettato e maligno), sia che creasse quelle incredibili satire per il Male, per Zut, per Tango, per Cannibale, dove i personaggi, noti e non, dell’Italietta di allora veniva analizzata, sezionata e messa alla berlina con le sue fisime, le sue paure, la sua politica, la sua religione per convenienza e per assoluto tornaconto personale. Sempre in bilico tra presente e passato, Andrea pazienza dava voce alla sua infanzia, e raccontava, si confessava, rideva di sé e, soprattutto, degli altri in maniera semplice e cattiva, come solo un bambino può fare. Un bambino prodigio, assolutamente consapevole delle proprie capacità. Oh, lo sapeva, di essere bravo, il vecchio Paz.
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