Torino Film Festival 2014
NOTIZIE

The Editor: a Torino l'omaggio al Giallo italiano degli Astron-6

Il collettivo canadese Astron-6 mette alla berlina i cliché del genere reso celebre da Dario Argento

The Editor

27.11.2014 - Autore: Marco Triolo
A volte la linea tra omaggio e parodia è sottile. Quentin Tarantino non la supera mai nei suoi film, semplicemente per il tono che sceglie: non scherza su un determinato stile di regia – che sia quello degli Shaw Brothers in Kill Bill o il western all'italiana in Django Unchained – ma lo incorpora nel suo elevandolo e giocandoci con ammirazione e reverenza, ma anche con la voglia di ribaltarlo. Citiamo Tarantino non a caso nell'introdurre il discorso su The Editor, film prodotto dalla gang canadese degli Astron-6 (autori di Father's Day e Manborg) e diretto da due dei suoi membri, Adam Brooks e Matthew Kennedy, che invece si pone totalmente dalla parte della parodia.

The Editor è infatti un omaggio a tutto il cinema Giallo, quel genere di thriller tutto italiano che ha ispirato lo slasher americano ed è stato frequentato da autori del calibro di Dario Argento e Mario Bava, ma anche da Lucio Fulci, Sergio Martino, Lamberto Bava. Il Giallo ebbe il suo picco negli anni '70, ma ricopre circa due decadi, da metà anni '60 a metà anni '80. Proprio a quest'ultimo periodo crepuscolare si rifanno gli Astron-6, che inseriscono una colonna sonora synth, numeri di danza inequivocabilmente eighties e una confusione generale che caratterizzava proprio gli ultimi tentativi di battere cassa di un filone in declino: colpi di scena raffazzonati, elementi sovrannaturali e troppa carne al fuoco.

Sfortunatamente, quest'ultimo dettagli finisce per penalizzare anche The Editor. Per i primi quaranta minuti si ride, tantissimo e di gusto: c'è una gioia nel mettere alla berlina con amore tutti i cliché e gli errori del Giallo, dal pessimo doppiaggio americano alla pessima recitazione, dall'estremo maschilismo (tanti sono i nudi femminili, tante le donne picchiate e seviziate) all'estrema violenza gore, passando per il pittoresco ambiente dietro le quinte fatto di attori cani che si credono divi, starlette che non esitano a sedurre pur di fare carriera, produttori senza scrupoli e detective col maglione a collo alto. Il cast è fantastico, dallo stesso Brooks (nei panni di Rey Ciso, il montatore del titolo) che sfodera un baffo alla Maurizio Merli a Paz de la Huerta, ingrassata e imbruttita per interpretare la moglie di Ciso, un'ex attrice in depressione. E poi ci sono Udo Kier nei panni di uno psichiatra psicolabile e Laurence R. Harvey (The Human Centipede II) in quelli di un prete inquietante.

I problemi iniziano dopo questi primi quaranta minuti di spasso: arrivati a un certo punto, Brooks e Kennedy cominciano ad accumulare, anziché risolvere, e le gag iniziano a latitare. Il film comincia a prendersi forse troppo sul serio, non tanto nella storia in sé, quanto nello sfoggio enciclopedico di omaggi e rimandi. Da parodia dichiarata si passa a ricostruzione pedissequa, ma priva di slancio. Peccato, perché alcune sequenze – quelle degli omicidi, sempre diverse e fantasiose, e quelle oniriche – sono anche ben fatte, e in certi momenti si ha davvero l'impressione di vedere una pellicola originale anni '70 ripescata da qualche vecchio magazzino: c'è lo stesso modo di girare, la stessa fotografia, i costumi, i colori, l'uso del controluce, lo zoom. Tutto perfetto a livelli maniacali. Ma si sa: gli Astron-6 in questo sono molto bravi, se solo avessero tagliato una buona mezzora da The Editor ci troveremmo davanti a una chicca indiscussa.
FILM E PERSONE