Festival Roma 2014
NOTIZIE

Stonehearst Asylum – La recensione da Roma

Dal regista de L’uomo senza sonno, un thriller in costume classicissimo ma scontato

Stonehearst Asylum

22.10.2014 - Autore: Marco Triolo
Brad Anderson continua a portare al cinema le sue ossessioni thriller. Stonehearts Asylum si differenzia però dalle precedenti opere del regista de L’uomo senza sonno e Vanishing on 7th Street per via del suo classicismo sfrenato e della sua ambientazione d’epoca. Prodotto da Mel Gibson e basato su un racconto di Edgar Allan Poe, il film infila tutto il campionario del cinema di paura di un tempo: manicomi lugubri, dottori inquietanti, campagna inglese invasa dalla nebbia, tuoni, lupi e cornacchie in sottofondo. Purtroppo però non c’è altro: manca totalmente un’idea di regia o una trovata di sceneggiatura in grado di rendere originale un lavoro che si configura, dunque, come una pallida copia carbone dei suoi modelli.
 
La storia, ambientata negli ultimi giorni del 1899, ruota intorno a Edward Newgate (Jim Sturgess), un novello psichiatra che si reca al manicomio di Stonehearts per affinare le sue abilità sul campo. L’istituto è guidato dal geniale quanto eccentrico dottor Silas Lamb (Ben Kingsley) e tra i pazienti Edward nota subito la bellissima Eliza Graves (Kate Beckinsale). Sarà proprio questo rapporto a scoperchiare un pozzo di segreti terribili che ribalteranno completamente ogni aspettativa di Edward (e del pubblico).
 
Anderson si avvale di un cast di tutto rispetto, che include anche Michael Caine, David Thewlis e Brendan Gleeson in piccoli ruoli. La confezione è di lusso, anche se il digitale – quasi indistinguibile dalla pellicola per buona parte del film – diventa troppo evidente nelle scene concitate del finale. Intendiamoci, non è che Stonehearts Asylum sia un brutto film: si fa guardare e fila liscio. Ma è costruito su modelli troppo risaputi e non tenta mai di scostarsene per dire qualcosa di suo. L’unico spunto interessante è la riflessione su sanità e follia: in un mondo di folli, i matti sono forse solo i più onesti di tutti. Si tratta di concetti non nuovi, ma ben esposti in un paio di scene: di più non possiamo dire per non rovinare il film.
 
Nel finale arriva un twist magari non troppo telefonato in sé, ma messo in scena in modo ridicolo e fin troppo debitore non solo del cinema di Shyamalan, ma di un ben noto film di Martin Scorsese che non citeremo, anche in questo caso per non rovinare la “sorpresa”. Se volete il classicismo anche a costo della qualità, allora tenete a mente Stonehearts Asylum. Altrimenti, c’è roba più interessante in giro.