Festival Roma 2014
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La foresta di ghiaccio – La nostra recensione

Una favola dark riuscita ma a tratti eccessivamente carica di pathos e sottotrame

La foresta di ghiaccio

 La foresta di ghiaccio

23.10.2014 - Autore: Alessia Laudati
Ancora neve al Festival di Roma. Dopo il freddo di Soap Opera, un altro film dove il fenomeno atmosferico cade copiosamente per tutta la durata della pellicola. Gli intenti, tuttavia, sono diametralmente opposti. La foresta di ghiaccio, secondo lungometraggio del regista di Good Morning Aman, Claudio Noce, è un thriller dal respiro tragico dove si dipanano, con equilibrio, gli elementi tipici di una storia piena di pathos. Amore, odio, vendetta, sopravvivenza, senso di appartenenza e isolamento, sullo sfondo di uno scenario inedito; quello della montagna più impervia. 
 
All’interno di una terra di frontiera sublime, luogo non meglio identificato tra l’Italia e la Slovenia, una comunità di montanari nasconde un pericoloso mistero. L’unità della collettività alpina viene però interrotta dall’arrivo di due stranieri, una donna e un ragazzo, che metteranno a dura prova il colpevole muro di omertà che circonda le montagne. 
 
Claudio Noce dirige una favola dark dal respiro classico, giocando sapientemente con la geometria degli opposti e scegliendo con maestria i propri interpreti. A incarnare la crudezza della natura ma anche il suo silenzio pacificatorio, l’orrore della guerra e la passione della vendetta, sono il lupo della steppa Emir Kusturica, la granitica Ksenia Rappoport, insieme ai più tenui Domenico Daniele e Adriano Giannini.
 
La foresta di ghiaccio ha il pregio di scegliere con cura la propria ambientazione e creare con essa una lontananza di spazio e tempo che può in parte assolvere il lirismo eccessivo delle atmosfere e dei personaggi. Allo stesso tempo, il regista romano è poi attento a riportare il registro surreale al realismo di alcuni degli episodi più drammatici della storia recente: i profughi di guerra e i flussi migratori esposti alla piaga del traffico di esseri umani. E’ proprio la presenza di così numerosi elementi in campo, sia a livello drammaturgico, di azione e di caratterizzazione dei personaggi, a costituire l’unica vera debolezza di un film interessante e ben calibrato, che ricorda per certe atmosfere, tornano persino gli inquietanti cappucci sui costumi di scena, un horror da isolamento claustrofobico come The Village di M. Night Shyamalan.