Festiva del Cinema di Venezia 2015
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L’attesa – La recensione da Venezia

Debutta il primo film italiano in concorso alla Mostra, l’affascinante esordio alla regia di Piero Messina

L'attesa

05.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta), da Venezia
La macchina da presa “sorvola” un crocifisso, riprendendolo da angolazioni ardite fino a renderlo quasi irriconoscibile. Un volto di donna bardato di nero lo contestualizza: siamo a un funerale, ma non sappiamo di chi. Ci verrà detto poco dopo, o meglio ci verrà fatto intuire, perché il punto de L’attesa, esordio al lungometraggio di Piero Messina, è proprio esplorare una situazione nata dal mancato confronto, dall’assenza di comunicazione. Un viaggio sospeso in tutti i sensi, congelato in un eterno aspettare qualcosa che non arriverà mai. 
 
Per raccontare questa stasi, Messina sceglie connotati altamente estetizzanti: il cinema è, dopo tutto, racconto per immagini e per fortuna anche in Italia questa tendenza sta tornando con forza, schiacciando la verbosità di molto nostro cinema degli ultimi anni. Messina viene dalla scuola di Sorrentino, del quale è stato assistente alla regia in This Must Be the Place e La grande bellezza. E si vede, ma non nel senso che Messina scimmiotti lo stile del maestro, quanto nella continua ricerca di immagini forti, che spesso nascondono un dettaglio ironico nel mezzo della tragedia raccontata.
 
L’attesa parte da un lutto e ne narra la dolorosa elaborazione. Una madre, Anna (Juliette Binoche), perde il figlio Giuseppe, e subito dopo, per un tragico scherzo del destino, verrà visitata proprio dalla ragazza francese di questi, che lui aveva invitato in Sicilia per ricucire un rapporto interrotto.
 
Si tratta di un esordio notevole: Messina riesce a tenere le redini della tensione, che non abbandona mai lo spettatore e lo catapulta in un mondo chiuso in cui le regole del vivere civile vengono distorte. La verità sul destino di Giuseppe non viene mai svelata da Anna alla sua ospite, e per questo il loro rapporto, che pure si sviluppa verso un’improbabile amicizia e complicità, risulta fragile perché basato su una menzogna. L’attesa diventa dunque anche quella del pubblico, che aspetta il momento in cui i nodi verranno al pettine. È l’insegnamento classico di Hitchcock, l’idea che se lo spettatore vede due persone conversare e sa che sotto al tavolo si nasconde una bomba, allora sarà tormentato dalla tensione. Qui la bomba è figurativa, ma è comunque sotto quel tavolo.
 
Eppure Messina non è davvero interessato a farla esplodere, quanto a studiare le reazioni diverse a uno stesso evento traumatico. Anna inizia a negare ciò che è successo e da questo scaturisce un’ambiguità visiva che traghetta il film verso una svolta tonale, che avvolge il terzo atto in un’atmosfera mortifera e angosciante. Fino a una inevitabile catarsi conclusiva.
 
L’unico vero problema del film è il suo dilungarsi e il girare a vuoto nella parte finale: quando sarebbe stata necessaria una maggiore sintesi, Messina esagera con i finali e sembra non voler mai chiudere. Ma è un problema minore che si può tranquillamente imputare all’inesperienza: per il resto, L’attesa ci lascia in attesa di vedere cosa il regista combinerà nei prossimi anni.