Festiva del Cinema di Venezia 2015
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Anomalisa – La recensione da Venezia

L’autore di Se mi lasci ti cancello torna a narrare una storia d’amore atipica, in un film d’animazione stop motion che si afferma come una delle opere migliori di Venezia 2015

Anomalisa

09.09.2015 - Autore: Marco Triolo (Nexta), da Venezia
Basta guardare la filmogradia di Charlie Kaufman per capire che l’autore non è interessato a raccontare l’amore in maniera convenzionale. Nel 2004 scrisse quel gioiellino di Se mi lasci ti cancello, esplorando la fase della fine di una grande storia d’amore con un linguaggio ai limiti della fantascienza delirante. Oggi torna con un film, co-diretto da Duke Johnson, che adotta la stop motion per raccontare la singolare condizione di un uomo solo e disperato, Michael (voce di David Thewlis), alla ricerca non tanto dell’anima gemella, quanto di un’altra persona diversa da tutte le altre come è lui. Perché Michael soffre di allucinazioni e vede tutte le altre persone identiche e con la stessa voce (Tom Noonan). Un giorno, in un hotel, incontra Lisa (Jennifer Jason Leigh), forse la sua unica speranza di ritrovare uno straccio di felicità.

Anomalisa è un film d’animazione d’autore in ogni senso: dalla scelta di lasciare evidenti le fessure con cui gli animatori cambiano i volti dei pupazzi, all’idea di incentrare il film su un personaggio in grado di vedere “i fili”, di riconoscere la finzione in cui è calato. Il film, tratto da una pièce teatrale scritta dallo stesso Kaufman, è tutto ambientato all’interno di un hotel di Cincinnati, il Fregoli, rimando alla “sindrome di Fregoli” che porta chi ne è colpito a sentirsi perseguitato e confondere i volti delle persone. Kaufman e Johnson adottano uno stile straniante, dando letteralmente a tutti gli altri personaggi, tranne Michael e Lisa, la stessa faccia e la stessa voce. Ci vuole un po’ per capire cosa si sta vedendo, ma quando il quadro generale è chiaro ne emerge un’opera fortissima, implacabile nell’esaminare la malattia mentale, l’isolamento, l’incapacità di comunicare col prossimo.

Stilisticamente, l’animazione è piuttosto realistica, a tratti addirittura impressionante per come riesce a farci scordare che si tratti effettivamente di animazione. Si tratta di una scelta precisa, studiata per aumentare il nostro senso di disagio: secondo il concetto della “Uncanny Valley”, più la riproduzione artificiale di un essere umano si avvicina al reale, più la sua “stranezza” risulta evidente e dunque inquietante ai nostri occhi. Kaufman e Johnson giocano proprio con questo e ottengono un risultato spaventosamente efficace.

Il finale coraggiosissimo, in cui gli autori remano contro la prassi del cinema romantico, è solo l’ultimo tassello di un puzzle composto con enorme rigore e capacità narrativa. Senz’altro uno dei più bei film visti a Venezia quest’anno.

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