Festiva di Cannes 2017
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Wonderstruck: la recensione del film con Julianne Moore tratto da La stanza delle meraviglie

Todd Haynes racconta una fiaba newyorchese che cattura e commuove, sebbene decisamente inferiore ai capolavori precedenti del regista

18.05.2017 - Autore: Pierpaolo Festa, nostro inviato al Festival di Cannes (Nexta)
Ci mette un po' il nuovo film di Todd Haynes a decollare. Ma quando lo fa ti cattura. Sebbene non totalmente come le altre volte in cui il cinema del regista di ci ha letteralmente portati via. Wonderstruck, tratto dal romanzo La stanza delle meraviglie scritto da Brian Selznick (Mondadori), è una favola coming of age che ancora una volta strizza l'occhio al grande potere del cinema, come lo faceva Hugo Cabret, romanzo precedente dello scrittore. 


 
Abbandonata la Parigi degli anni Trenta che abbiamo visto nel capolavoro di Scorsese, la scena si sposta a New York. Ancora una volta la storia viene affidata a due ragazzini che occupano due epoche temporali diverse: il 1927 e gli anni Settanta. La bambina del passato vive all'interno del bianco e nero, il ragazzino del presente si muove nei colori sporchi dei seventies. Entrambi sono sordi. Entrambi in fuga dalle loro famiglie. E dovranno imparare velocemente a sopravvivere nella Grande Mela per trovare un accesso alla nuova fase delle loro vite. 

Per la prima volta Haynes espande il suo pubblico rivolgendosi anche ai più giovani. E allo stesso tempo cerca - e riesce - a farci tornare bambini raccontando perfettamente alcune dinamiche della giovinezza in quella che è a tutti gli effetti una caccia al tesoro, dove il premio finale è la maturità. Il film procede un po' troppo a fuoco lento con interminabili ripetizioni e un'overdose di estetica. Il regista sceglie diversi linguaggi visivi cercando sempre il potere del cinema, trovandolo e abusandone. Bianco e nero, cinema muto, stop-motion. E' tutto molto bello, eppure si ha la sensazione che il film non sia compatto. Cosa che danneggia il compartimento emotivo della storia. Perché se è vero che con opere come Lontano dal paradiso o il più recente Carol ci ha travolti di emozioni, con questo Wonderstruck non riesce come ha fatto prima. Non basta nemmeno "sparare" tre volte Life on Mars di David Bowie nei primi venti minuti del film: perfino l'omaggio al duca bianco sembra forzato. 


Siamo davanti al film più commerciale del regista: la fiaba newyorchese sembra girata con "meno pancia" e meno cuore rispetto ai suoi lavori precedenti. Forse il cineasta rimane troppo schiavo del romanzo, adattato per l'appunto dallo stesso Selznick alla sua prima esperienza da sceneggiatore (Scorsese invece aveva trovato un vero sceneggiatore per Hugo Cabret). Come in tutti i film di Haynes che si rispettino la confezione è super extra lusso, sebbene la fotografia del maestro Ed Lachmann venga penalizzata da una miriade di scene buie. Più interessante il lavoro sui colori degli anni Settanta. Le musiche di Carter Burwell si assicurano di spingere ulteriormente il film nel cuore di chi sta a guardare. 

Wonderstruck, presentato in Concorso a Cannes, è ancora senza una data di uscita, arriverà in Italia con 01 Distribution

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