Festiva di Cannes 2017
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Okja - La recensione del fantasy di Netflix presentato in concorso a Cannes

Il film di Bong Joon-ho diverte, commuove e rilancia le meraviglie digitali. Ma è il suo lato horror a rimanere con lo spettatore

19.05.2017 - Autore: Pierpaolo Festa, nostro inviato a Cannes (Nexta)
Apre gli occhi questo Okja. Su più livelli. In primis a livello visivo: nell'epoca degli effetti speciali in cui la rappresentazione cinematografica non ha più limiti di immaginazione al punto da averci abituati a catastrofi e creature interamente digitali, Okja riesce a frenare la nostra abitudine digitale. A quel punto strofiniamo gli occhi e ci concentriamo sulla spettacolare creatura che dà il titolo al film: un tenero maialino in grado di crescere come un elefante. Quegli occhi li strofineremo un altro paio di volte prima dello scorrere dei titoli di coda, e lo faremo per asciugare qualche lacrima. 

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Siamo davanti a una delle migliori creazioni digitali che il cinema abbia mai visto. Il suo sguardo, il suo modo di relazionarsi con gli umani ti prende all'istante: come lo hanno fatto in passato il King Kong di Peter Jackson e la tigre di Vita di Pi.  Ambientato in un futuro non troppo lontano, Okja (si pronuncia "och-già") è puro intrattenimento declinato a forma di fiaba. Una confezione narrativa all'interno della quale c'è un chiaro messaggio puntato dritto contro i forti poteri della società capitalista. Una cosa che il regista Bong Joon-ho aveva già fatto nel brillante Snowpiercer

 
In un mondo in cui il cibo comincia a scarseggiare, una corporation guidata da Tilda Swinton crea un contest mondiale, affidando alcuni esemplari di maiale a un piccolo gruppo di pastori in giro per il pianeta. Il reality show tornerà a filmarli dieci anni dopo per "premiare" la creatura più valida. Sotto la verità televisiva si nasconde l'orrore di esperimenti genetici, torture e della destinazione finale di quelle creature: il macello in cui diventeranno delle succose bistecche. Tra la prima e l'ultima scena ci sono la cattiveria della Swinton (irresistibile con l'apparecchio ai denti e un modo di fare da personal trainer mediatico), l'idiozia disgustosa di Jake Gyllenhaal (uno dei più grandi attori di Hollywood) e soprattutto c'è la storia di un legame: quello tra Okja e la figlia di un contadino. La loro amicizia fraterna è al centro del film. E li seguiamo dalle montagne della Corea alla giungla di cemento di New York City.
 
Il cinema asiatico si tinge di occidentale e fa il suo dovere. Bong Joon-ho tocca esattamente tutte le corde emotive giuste. Provoca lacrime ma non si risparmia sul grande spettacolo, cercando anche l'effetto fracassone e rilanciando il divertimento a ogni atto. A tratti il regista coreano sembra ricreare l'inseguimento storico di Terminator 2: c'è un camion che corre, una creatura che semina il panico in un centro commerciale e una ragazzina che si trova esattamente nel mezzo di tutto questo. Inevitabile non pensare anche a Spielberg, a Jurassic Park ed E.T.



E' l'ultimo atto ad avere più forza su tutto il resto: sembra quasi di assistere ad alcune sequenze di Schindler's List con la macchina da presa che si spinge fino in fondo all'interno di campi di concentramento nei quali gli animali subiscono violenze e torture. Campi di sterminio che non è difficile immaginare nella nostra realtà. In quel momento la coscienza si risveglia. E lasciamo la sala senza più pensare alla favoletta che ci è stata raccontata, bensì all'orrore del terzo atto. Okja fa questo e probabilmente garantisce anche un'avversione per la carne che durerà per qualche giorno.   

Okja sarà disponibile su Netflix a partire dal 28 giugno


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