Biennale Venezia 2014
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The Cut – La recensione da Venezia

Fatih Akin racconta il genocidio armeno in un epico road movie riuscito a metà

The Cut

31.08.2014 - Autore: Marco Triolo, da Venezia
Quello di quest'anno è il festival delle coppie. Dopo le somiglianze tra Birdman e The Humbling, ecco un altro film con diversi punti in comune con uno passato solo ieri. The Cut, il nuovo lavoro di Fatih Akin, è un road movie ambientato nel deserto sullo sfondo di una guerra, esattamente come Loin des Hommes di David Oelhoffen (qui la nostra recensione). Le somiglianze si fermano qui, comunque, perché quello di Akin è un film molto più di ampio respiro ed epico, anche se non necessariamente migliore.

Akin conclude con The Cut la sua personale trilogia su “l'amore, la morte e il diavolo”, iniziata con La sposa turca e proseguita con Ai confini del paradiso. L'intenzione è quella di parlare del “male” che si annida in ogni uomo, e per farlo Akin utilizza la storia di un padre di famiglia armeno che, strappato dai suoi, costretto ai lavori forzati dall'Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale e infine sopravvissuto al genocidio degli armeni, si imbarca in una lunga odissea per ritrovare le figlie gemelle. Sul suo cammino, che lo porterà ad attraversare l'oceano fino a Cuba e poi gli Stati Uniti, incontra molte persone che lo aiutano ma anche diversi ostacoli.

The Cut si regge su un'idea interessante: che i governi e le singole persone sono entità opposte, dediti alla guerra i primi e disposti ad aiutarsi a vicenda indipendentemente da razza e religione i secondi. Per questo, più che un film sul male degli uomini sembra uno sul bene, e alla fine non manca un anelito di speranza.

Il problema del film è che si mette in un corner da solo scegliendo di non far parlare il protagonista. Nazaret, interpretato dalla star francese Tahar Rahim, rimane infatti muto per una ferita alla gola. La metafora è chiarissima e viene esplicitata ancora di più in una scena in cui Nazaret vede un film muto di Chaplin: le immagini valgono più di mille parole. Basta uno sguardo alle distese di corpi martoriati dalla guerra e dalla fame per capire che è con le immagini che Akin vuole rendere l'idea dell'enormità della tragedia armena. Da un punto di vista narrativo, però, un protagonista muto funziona poco, perché finisce per essere un passivo raccoglitore di informazioni che gli vengono svelate dagli altri personaggi.

A causa di questo, la prima parte del film funziona molto meglio della seconda, che procede invece col pilota automatico sui sicuri binari del road movie, senza troppa originalità. Resta l'encomiabile ambizione di voler parlare di una delle più grandi tragedie umanitarie del Ventesimo Secolo.

In uscita a novembre, The Cut sarà distribuito in Italia da BIM.

Per saperne di più sul Festival di Venezia, seguite il nostro speciale.