Sherlock Holmes - Gioco di Ombre
Holmes (Robert Downey Jr.) continua la ricerca del Professor Moriarty (Jared Harris), il quale, secondo lo stesso Holmes, potrebbe essere il primo super cattivo del nostro pianeta. Watson (Jude Law), invece, continua la sua love story con Mary Morstan (Kelly Reilly), ma sempre tenendo un occhio aperto sul suo amico Holmes.
Guy Ritchie ha dimenticato le forbici a casa. Il suo “Sherlock Holmes – Gioco di ombre”
è troppo grande, troppo lungo e troppo ambizioso nel cercare di
superare il capitolo precedente. Una scommessa che quasi ossessiona
l'intero team creativo alle prese con un frullato di azione,
divertimento e spettacolo che non è gustoso come la prima volta.
Solo a tratti il sequel riesce ad avere la stessa brillantezza del
precedente. Il più delle volte, invece, si assiste a una messa in scena
costruita sulla stessa formula di “Pirati dei Caraibi” con tre
direttive principali: ampliare le dinamiche tra i protagonisti, puntare
al massimo sullo spettacolo e allargare gli intrighi della trama.
Quest'ultimo è il punto più debole: se interessante è la premessa di
scatenare una guerra mondiale alla fine del XIX Secolo – e il Professor Moriarty è certamente un cattivo molto più minaccioso di quanto lo fosse Mark Strong – le conclusioni dell'intreccio, colpi di scena inclusi, rimangono fredde e confusionali.
In quanto allo spettacolo, ci si diverte finché c'è ironia. Vediamo
Sherlock affrontare il nemico durante l'addio al celibato di Watson. E
successivamente coinvolto in una sparatoria con tanto di esplosioni
all'interno di un treno. Sono queste le sequenze in cui si ha la
sensazione di assistere al secondo tempo del primo film. Si sbadiglia un
po', invece, nelle scene action conclusive, visivamente spettacolari,
ma che nulla aggiungono alla trama. A soffrire è anche il rapporto tra
Holmes e Watson che va un po' on and off. Tuttavia la simpatia
dei protagonisti regna sovrana. Jude Law si diverte come un matto e
Downey ormai è una rockstar del cinema a tutti gli effetti.
L'altro punto debole è proprio il fattore "Girl Power". Sembra che i realizzatori non ci credano fino in fondo: Rachel McAdams viene utilizzata soltanto nel prologo, per lasciare spazio a Noomi Rapace,
sottotono e stereotipata nei panni della dura zingara di turno, che
esce di scena quasi dimenticata, a cinque minuti dalla fine.
Frammentato tra problemi di ritmo e trovate vincenti all'insegna dello spasso, “Sherlock Holmes – Gioco di ombre”
procede arrancando. Decisamente superiore rispetto alla media di sequel
che continuano a propinarci, ma mai capace di eguagliare il
predecessore. L'ottima scena finale, però, garantisce una sana risata.