NOTIZIE

Una serie di sfortunati eventi – La recensione del primo episodio dello show

Il tocco di Barry Sonnenfeld è più evidente che mai: perché la favola, pur rimanendo favola, è dark
   

Una serie di sfortunati eventi

Una serie di sfortunati eventi

16.01.2017 - Autore: Alessia Laudati (Netflix)
Chiaro al minuto dieci. Con Una serie di sfortunati eventi Netflix non ha paura di spaventare il suo pubblico di piccoli adulti; e per gli adulti veri e propri invece non c'è problema, così abituati alle brutture del reale non inorridiranno di certo vedendo una storia di soprusi e cattiverie da parte del conte Olaf all'indirizzo degli orfani Baudelaire, che avrebbe al contrario il compito di crescere nella cura e nel conforto come unico tutore vivente. 

Il bello di Una serie di sfortunati eventi è che l’approccio dello show nei confronti dei più piccoli nuota in un liquido cinismo. Dentro di esso si muove un black humor particolare; e il black humor se deve spiegarsi, addolcirsi o auto-consolarsi sul finale di ogni battuta o di una scena, perde la sua ragione di essere al mondo. Una libertà di registro dietro la quale si intravede la mano del regista Barry Sonnenfeld che firma il primo episodio come regista oltre a essere produttore esecutivo della serie e che dopo essere stato autore di La famiglia Addams e La famiglia Addams 2, porta su Netflix quell’umorismo nero, quel gusto per la messinscena barocca, per il travestimento, che non ha paura di perdere consensi lavorando a personaggi francamente disgustosi. 

Barry Sonnenfeld trasforma questo esordio in un riuscito incontro tra il cinema gotico per famiglie e il formato on demand e racconta il divertito sopruso dei più grandi all’indirizzo dei più piccoli. Lo vediamo sghignazzare dietro la macchina da presa mentre il conte Olaf si rende semplicemente repellente. Perché la letteratura romanzesca è piena di storie di orfani ricche di humor e di ritratti paradossali e non per forza solamente tragiche. Proprio lì pesca Una serie di sfortunati eventi e il conte Olaf in questo senso è degno erede del Fagin di Oliver Twist o del Mr. Murdstone di David Copperfield per il disprezzo senza freni che manifesta nei confronti dei bambini e per come viene mostrato senza sconti da chi lo guarda dall'esterno. 

Certo non è tutto meraviglioso. Lo show per esempio non è proprio il massimo dell’originalità. Per esempio, anche se traduce bene molti spunti e suggestioni del cinema gotico-ironico di questi ultimi vent’anni, del resto al progetto ha lavorato un suo degno esponente e ha la capacità di essere interessante per tutto il nucleo famigliare un po’ come farebbe un film malinconico di Tim Burton, non sempre abbiamo l'impressione di vedere qualcosa di propriamente nuovo.

Pesa un po’ sulla scorrevolezza il fatto che l'eredità con il cinema fantastico sia troppo visibile e che esista già una versione cinematografica e riuscita della trasposizione del filone letterario di Lemony Snicket, il film Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi, dove il cattivo è Jim Carrey e con cui il personaggio principale della serie interpretato da Neil Patrick Harris si deve per forza confrontare. E non è sempre facile dimenticare la grandezza recitativa delle smorfie e dell’uso del corpo di uno svitato attore come Carrey; primo conte Olaf del grande schermo