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Un altro mondo - La nostra recensione

Silvio Muccino prova a svecchiare l'immagine classica della famiglia del Mulino Bianco, toccando temi come l'integrazione e il razzismo

Un altro mondo - Silvio Muccino e Michael Rainey Jr.

21.12.2010 - Autore: Valeria Roscioni
Ci sono film che senza volerlo ti colpiscono nel profondo, ci sono film che a volte sanno parlare ai sentimenti senza necessariamente parlare di sentimenti, ci sono film che sanno di Natale perché hanno il profumo di biscotti anche senza sfornare dolci. La ripetizione della locuzione “Ci sono”, essenziale per ricreare l’atmosfera di “Un altro mondo”, non solo ammicca al monologo iniziale e finale del film, ma costituisce una sorta di dichiarazione di intenti della regia e della sceneggiatura: saremmo prolissi e faremo del nostro meglio per emozionarvi. Se la seconda fosse riuscita, forse i rimproveri riguardo alla prima sarebbero stati meno aspri.

Silvio Muccino e Isabella Ragonese in Un altro mondo

Ma non tutto è perduto: la storia di Andrea, ragazzo ricco e nullafacente a cui un padre latitante da sempre lascia in eredità un fratellino africano settenne, è di quelle che, data la portata dell’argomento che toccano, la costruzione di una famiglia è qualcosa il cui impatto si può avvertire per kilometri, non riescono a mantenere la centralità del protagonista. Fortunatamente, dunque, Silvio Muccino cede spesso il posto a quel meraviglioso piccino di Michael Rainey Jr. la cui quasi totale ignoranza della lingua italiana non riesce a scalfire la prova di attore in grado, dal profondo del suo sguardo, di riassumere con poco amore, frustrazione, rabbia, paura e goia in tutte le loro sfumature, affidandosi ad un minimalismo istintivo da cui anche la costruzione della storia avrebbe dovuto trarre ispirazione. Forse, però, non è lecito puntare l’intera riuscita di un film su un paio d’occhi nocciola, per quanto espressivi essi possano essere, soprattutto se, mentre si compie il lecito tentativo di svecchiare l’immagine classica della famiglia del Mulino Bianco, si toccano temi come l’integrazione e il razzismo

Silvio Muccino e Michael Rainey Jr. in un altro mondo

A supportare, e anche un po’ a sopportare, Muccino-Andrea e i suoi tentativi di trasformarsi in un vero uomo c’è Isabella Ragonese a cui questa volta è toccato un ruolo fondamentale ma non centrale che, nonstante non somigli alle sue precedenti prove, le calza al punto da farle compiere il miracolo di conferire credibilità e profondità a questa donna suo malgrado costretta a riscoprire in sé energie positive e istinto materno. Il triangolo costituito, non è, in fondo, così male assortito eppure non funziona soprattutto laddove dovrebbe e vorrebbe provocare un’emozione. Nelle scene chiave, che comprendono alcune sequenze in cui è palese il marchio Gabriele Muccino, quella che brilla non è la luce di un sentimento autentico, ma piuttosto il riverbero del neon delle scritte “applausi” che si utilizzavano negli studi televisivi: le sequenze si giustappongono e rincorrono la risata o il pianto, i dialoghi annaspano insieme al protagonista, e spesso anche la coerenza dei fatti viene sacrificata sull’altare della scena madre. Al cuore, però nono si comanda. Il cuore, si sa, è un altro mondo.

Un altro mondo”, definito dallo stesso Muccino “un About a Boy dell’era Obama”, è distribuito da Universal Pictures.

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