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The Adderall Diaries e l'incredibile blocco creativo di James Franco

Onnipresente e poliedrico, al Tribeca Film Festival l'artista californiano domina l'opera prima della 'sua' Pamela Romanowsky

21.04.2015 - Autore: Mattia Pasquini
Forse il blocco dello scrittore non è mai stato così furbesco. D'altronde cosa altro aspettarsi se a raccontarlo è James Franco, in un film ispirato all'omonimo libro di memorie dello scrittore e attivista Stephen Elliot del quale si era assicurato i diritti nel lontano 2010, quando ancora sembrava che dovesse occuparsi lui anche di adattamento e regia?

Col passare del tempo però i piani sono cambiati, visto che al timone troviamo la prescelta Pamela Romanowsky, esordiente di lusso (più per la produzione esecutiva di Robert Redford che per i riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni, soprattutto con il corto Gravity) che purtroppo non riesce a ricacciarci in gola il pregiudizio.

Fondato, come si evince vedendo questo The Adderall Diaries; che per fortuna mostra più di un semplice soliloquio autoreferenziale e, tutto sommato, riesce a sfruttare la presenza dell'onnipresente attore registra fotografo e scrittore costruendogli intorno un'interessante riflessione su memoria e relazioni dalle molte sfumature.



La costruzione del personaggio, delle sue modalità di interazione col mondo e delle sue pulsioni autodistruttive - provenienti ovviamente da una infanzia ribelle - è piuttosto stereotipata e non offre agli interpreti spazio per costuruire molto. Franco è in balia della sua stessa tendenza all'iperespressività, spesso eccessivo nella manifestazionie delle emozioni più forti. Ma anche Ed Harris, per quanto sia sempre un piacere vederlo sullo schermo, sembra non esser molto più del padre oppressivo necessario ad offrire un polo 'negativo' (il ché è tutto da vedere) nella dicotomia e nel conflitto alla base della creatività - e forse del blocco stesso - dello scrittore in questione.

In realtà è anche un importante innesco. Più che al livello dello sviluppo narrativo, comunque piuttosto piatto e limitato a una serie di azioni e reazioni da manuale, di una riflessione che per la parte finale del film ci mostra un percorso catartico del ribelle Franco. Anche qui niente di troppo originale, se non fosse che lo spunto è di quelli validi e da seguire anche a prescindere del flim.

Come rielaboriamo i nostri traumi? Con quanta fedeltà ricostruiamo i nostri ricordi e che tipo di ruolo scegliamo di interpretarvi? Vittime, carnefici? Una scelta che in ciascuno dei due casi può rispondere a una necessità, quando non offrire una via di fuga. Una scintilla che ahinoi rimane soffocata da tanta maniera e dalla troppa attenzione tanto al suo mecenate protagonista quanto all'estetica della messa in scena.