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Sayonara - La recensione dal Tokyo Film Festival

Può l'intelligenza artificiale alleviare la solitudine? Dare un senso a una esistenza disperata? Forse, nella distopia presentata al TIFF 2015

29.10.2015 - Autore: Mattia Pasquini (nexta), da Tokyo
Siamo abituati a futuri distopici nei quali pericolo e sopraffazione costituiscono il tessuto sociale e giustificano una costante 'chiamata alle armi', ma raramente ci si sofferma sulla normalitá delle periferie abbandonate, lontane dai centri dell'azione più cinematografica. Una disperazione senza redenzione nella quale il Sayonara di Kôji Fukada (ci) sprofonda.

Una fantascienza che non vediamo spesso, quella di questo tipo, ma che spesso sceglie analoghi ritmi e dinamiche. Rarefatti i primi, pressoché assenti le ultime, considerata la circolaritá di un film che inizia e si conclude su un divano. Nell'immobilità della protagonista umana, prigioniera della propria depressione e condannata a una solitudine che non interrompono i saltuari incontri con una amica, più di lei aggrappata alla speranza di una nuova possibilitá, grazie a una Lotteria che ricorda molto la 'rinascita' del mondo di Logan 5 prima della celebre fuga.

Unica 'vera' compagna di vita la robotica Leona, interpretata dall'incredibile Geminoid-F, androide reale (programmato 'off screen' dal suo creatore Hiroshi Ishiguro) costretto nella finzione su una sedia a rotelle per una malfunzione. Ormai insanabile a causa del generale declino di società e risorse dopo una catastrofe radioattiva, che non può richiamare la memoria triste di Fukushima nel parlare degli "Ultimi giorni del Giappone". Una intelligenza artificiale andicappata - e già solo per questo intrigante concettualmente - che provvede alle necessità primarie della sua 'padrona', quanto a quelle secondarie, recitandole poesie di Tanikawa, Rimbaud, Busse e Wakayama.

Nell'infinito scorrere di un tempo 'inutile' c'è spazio e spunti per riflettere sulla connessione tra solitudine e felicità, sensi di colpa e critiche a una società che conosciamo bene (dall'apartheid al sistema carcerario, fino a rifugiati e razzosmo). C'è la speranza, apparente, nella gioiosa incoscienza di due giovani sposi. C'è il bisogno, vano anch'esso, di passato e radici, nel rapporto con i propri padri e le memorie.

Ma c'è soprattutto Leona. Unica ipotetica costante in un film di addii. Alle persone, alla vita, al futuro. Alle emozioni. Che sembrano rifiorire, invece, insieme ai dubbi sull'umanità del robot. Attraverso il quale - o 'la quale' - passano i momenti migliori di una vicenda che procedendo, tanto si avvita su se stessa quanto apre nuove vie. Anche con qualche esagerazione o ambizione di troppo, fino al culmine conclusivo, visivamente molto bello come l'intero epilogo.

FILM E PERSONE