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Recensione Planetarium: poco convincenti i fantasmi di Natalie Portman e Lily-Rose Depp

Lo spiritismo e il suo boom nell’Europa degli anni ’30 non servono a rendere piacevole un film troppo pretenzioso e poco digeribile  

Planetarium film

Planetarium film

18.04.2017 - Autore: Alessia Laudati (Nexta)
È chiaro: Rebecca Zlotowski la regista di Planetarium, ha in questo film una particolare ossessione per i volti accattivanti dei suoi protagonisti, di certo non necessariamente perfetti ma sicuramente capaci di una carica carismatica molto forte. E con questo potere, insieme a altri trucchi, luci, movimenti di macchina, nel corso del film cerca in tutti i modi di sedurci e di portare la nostra mente fuori dalla sala cinematografica rimandano alla storia della settima arte e del sua capacità quasi soprannaturale di portarci in luoghi profondamente lontani dalla sala buia.

Tuttavia, anche se nel suo film i volti in questione sono quelli aggraziati di Natalie Portman, Lily-Rose Depp e quello asimmetrico del francese Emmanuel Salinger, l’incantesimo non riesce. E anzi, costruendo una storia che nella Parigi degli anni ’30 parla di spiritismo e del suo boom e tenta un parallelismo tra l’arte occulta e il potente effetto che il cinema possiede nel creare nello spettatore sentimenti, immagini e sensazioni prima invece del tutto assenti, Planetarium si perde eccessivamente in uno sforzo laborioso di essere quasi film d’autore. Sicuramente si tratta di una pellicola dalle grandi ambizioni che tuttavia procede attraverso una messinscena curata fino all’esasperazione e a un manierismo che stanca e innervosisce perché il sue messaggio alla fine risulta essere molto lontano da cuore e mente.

Il paragone tra il processo ipnotico dello spiritismo e quello similmente messo in atto dal cinema è evidente in un film che volutamente ha poco ritmo e si lascia cullare dalla bellezza delle inquadrature cercando in qualche modo di illudere lo spettatore con un intento più o meno dichiarato di non essere solo film semplicemente narrativo ma qualcosa che porti a riflettere sulla natura stessa del cinema e colta prima del cronologico avvento del mezzo audiovisivo.



Se da una parte quindi il suo obbiettivo è nobile il risultato finale è invece piuttosto confuso. La storia delle due sorelle Barlow e del produttore Korben, quest’ultimo deciso a intrappolare sullo schermo le entità spirituali che le due donne evocano o credono di invocare durante i loro show, ci mostra un lavoro a a tratti pretenzioso e inaccessibile.

Il tema dello spiritismo, il parallelo con l’ipnosi del processo di visione che avviene al cinema e che procede sostanzialmente per atti di sospensione del credibile e il tentativo di Planetarium di ammaliarci con lustrini e con lo svelamento dei retroscena un certo tipo di spettacolo itinerante, al tempo molto popolare e sospeso tra cialtroneria e professionalità, sono punti attorno ai quali il film non riesce a rinsaldarsi risultando alla fine opera troppo lenta e dai significati alla lunga davvero imperscrutabili.