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Rapina a Stoccolma - Ethan Hawke e la nascita dell'omonima Sindrome (Recensione)

C'è Noomi Rapace nei panni della vittima innamorata del proprio aguzzino nel film del canadese Robert Budreau.

19.06.2019 - Autore: Mattia Pasquini
Superfluo descrivere il Rapina a Stoccolma di Robert Budreau come 'banalmente' tratto da una storia vera. Il film racconta infatti - oltre alla vicenda criminale al centro dell'azione - la nascita del popolarissimo concetto di "Sindrome di Stoccolma". Come tutti sanno, quello stato di solidarietà o sottomissione volontaria (quando non addirittura amore) di una vittima nei confronti del suo aguzzino, si parli di violenza fisica o psicologica.



In questo caso ai due estremi, destinati a toccarsi, troviamo Ethan Hawke e Noomi Rapace. Sono loro il criminale e l'ostaggio costretti alla convivenza forzata dall'assedio della polizia alla sede della Kreitbank di Stoccolma. E sono loro le colonne sulle quali il regista canadese contava per trasmettere al pubblico il particolare taglio scelto per raccontare una storia che nessuno aveva mai raccontato, ma che il cinema ha sfruttato decine di volte.

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Quello di Budreau è una sorta di crime movie dal cuore tenero, che punta molto su certa naïveté vintage (e forse anche sulla poca conoscenza dei più della Svezia degli anni '70). E che finisce per dovere molto - se non tutto - all'interpretazione del Jan-Erik "Janne" Olsson originale da parte dello stesso Ethan Hawke che si era trasformato in Chet Baker nel precedente Born to Be Blue dello stesso regista.



Certo, difficile non notare la differenza di circa vent'anni tra i due. Come anche non restare leggermente sconcertati dallo sviluppo - fin troppo repentino - dei personaggi del capo della polizia (Christopher Heyerdahl) e della 'povera' Bianca Lind. La Rapace appare inizialmente spaesata, poi decisamente poco naturale, persino nella postura, e infine persino risolutiva. Colpa di una direzione sbagliata? Forse…

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D'altronde è tutta l'operazione a non riuscire mai a raggiungere, nella resa cinematografica, lo status di 'storia da raccontare'. Si seguono gli snodi fondamentali come si farebbe in un documentario televisivo e si accetta facilmente il tono quasi goffo di una caratterizzazione che punta sull'elemento del ridicolo sin dal trailer e persino nel doppiaggio. Ma non si esce convinti dalla visione. Nonostante il 'controcanto' di un duro Mark Strong, decisamente sottoutilizzato.

Rapina a Stoccolma, in sala dal 20 giugno, è distribuito da M2 Pictures.