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Prime recensioni di Blackhat: passo falso per Michael Mann?

Un film minore dell'autore, in cui l'azione conta più della sostanza. Ma è un bene o un male?

Blackhat

14.01.2015 - Autore: Marco Triolo
Se dobbiamo fidarci delle prime recensioni americane di Blackhat, è in arrivo una doccia fredda per i fan di Michael Mann. Il cyber-thriller da lui diretto e interpretato da Chris Hemsworth, nei panni di un risoluto hacker chiamato dall'FBI a risolvere un complotto informatico internazionale, ha tutta l'aria del passo falso di un grande regista. Anche se gli stessi elementi criticati da taluni – l'implausibilità di trama e personaggi, la poca sostanza dei dettagli informatici soffocati da un plot d'azione banale – da altri sono visti come positivi. In sintesi, per alcuni Mann ha sbagliato mira, per altri ha fatto esattamente quello che voleva usando gli hacker come semplice pretesto.

“Blackhat è approssimativo, pigro e semplicemente non funziona – scrive Drew McWeeny di HitFix – Devo dare credito a Mann di aver creato un film di 135 minuti che sembra durare non meno di cinque ore”. “Per tutti i dettagli che il film dà in pasto al pubblico, è tanto realistico quanto Superman III quando parla di computer, e Hemsworth è realistico come hacker quanto lo era Richard Pryor in quel film”. Ahia. Il personaggio interpretato da Hemsworth, il geniale hacker Nick Hathaway, sarebbe dunque uno dei grossi problemi del film: “Da un film come Blackhat ti aspetti una dinamica da battaglia di intelletti stile Il silenzio degli innocenti – scrive Peter Debruge di Variety – Ma neanche per un secondo possiamo credere che Hemsworth non sia un boy scout, l'hacker più fusto del mondo e un essere umano onorevole”, capace oltretutto di “maneggiare un'arma meglio degli agenti con cui lavora”. Debruge arriva a chiamare in causa anche l'estetica del film, una fotografia digitale “a bassa risoluzione” che il critico definisce “qualità YouTube”. E conclude: “Per un film sugli hacker, è totalmente assurdo quanto poco appaiano i computer sullo schermo”.

Problemi riscontrati anche da Sheri Linden di The Hollywood Reporter, che è però più ben disposta a chiudere un occhio su certe pecche: “Finalmente, dopo un'ora di introduzione tra alti e bassi, il film acquista un ritmo deciso. Nelle metropolitane, nei porti e nei centri cittadini, il montaggio pulsante è allo stesso tempo preciso e discreto”. “Blackhat è più efficace come corsa viscerale che come riflessione stimolante” e “La fluidità della regia di Mann e l'alchimia a fuoco lento tra Chris Hemsworth e Tang Wei controbilanciano i ben più comuni, e non sempre coinvolgenti, elementi procedurali”.

Come si diceva, gli stessi elementi sono alla base delle critiche positive. Ad esempio quella di Tim Grierson di ScreenDaily, che definisce Blackhat “un film minore (ma tangibilmente ipnotico) di uno dei maggiori autori action americani”. Mann “sembra meno interessato al contenuto politico del film quanto pronto a sfruttare le premesse per il suo prorompente cinema d'azione”. Parlando di crimini informatici, “Blackhat è una sfida formidabile per un regista cinetico come Mann. Ecco perché il risultato è così impressionante: il film è composto da una serie di sequenze tese e visivamente ispirate, che fanno avanzare la storia con sicurezza”. “Nelle mani di un regista meno capace, un film sugli hacker come Blackhat sarebbe infinitamente noioso – scrive infine Matt Singer di ScreenCrush – Ma Blackhat è nelle mani di Michael Mann, il che significa che è anche elegante e punteggiato da intense scene d'azione”. “In sintesi, Blackhat è una fesseria, ma il giusto tipo di fesseria. Cosa c'entrano sparatorie, inseguimenti e scene d'amore con la realtà dello spionaggio informatico di alto livello? Probabilmente tanto quanto The Day After Tomorrow c'entrava con il riscaldamento globale. Ma nel mondo dei thriller senza capo né coda, Blackhat è uno di quelli riusciti”. Solamente, non è il caso di aspettarsi Collateral o Heat.

In uscita il 12 marzo, Blackhat è distribuito in Italia da Universal. Qui il trailer.