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Porto - La nostra recensione dell'ultimo film con Anton Yelchin

Un amore dolente e indimenticabile domina l'ultimo film dell'attore tragicamente scomparso qualche mese fa

21.11.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Passione, prospettiva, memoria… su queste direttrici si muove il Porto di Gabe Klinger, presentato dal Festival di Torino 2016 come "prodotto da Jim Jarmusch" (evidentemente affascinato dagli amanti 'fuori dal tempo'... e ripresi dall'alto), ma soprattutto segnalato per essere l'ultimo film interpretato da Anton Yelchin (l'apprezzato attore russo visto in Star Trek e deceduto tragicamente lo scorso giugno). È lui a dominare la scena, d'altronde, e a catalizzare inevitabilmente l'attenzione degli spettatori, con una prestazione capace di trasmettere una sensazione rara di sopraffazione emotiva; la stessa che il suo personaggio soffre sullo schermo.

Ovviamente la causa, o meglio 'la ragione' (termine poco adatto al contesto), è una donna: la splendida Lucie Lucas, francese trentenne (Clem, Il missionario). La loro storia è quella di molti, dall'inizio bruciante, attraverso i dubbi e l'affacciarsi di fantasmi, fino a un addio traumatico, dagli strascichi strazianti. Che sono quelli che il film ci fa vivere con maggior intensità, in fondo. I continuati flashback - sottolineati da diversi formati video e riprese - sottolineano il distacco tra le due stagioni sentimentali, attraverso le quali si muove il protagonista, amante trasfigurato, rapito da un'estasi lirica prima quanto perduto in un inferno senza oblio poi.



Le memorie che lo perseguitano sono quelle dei luoghi, dei momenti, ovviamente vissuti con l'amante, tornata sui suoi passi dopo un incontro quasi fatale, un innamoramento che deve molto al Prima dell'alba di Richard Linklater - non a caso in precedenza il regista aveva realizzato il doc 'Double Play: James Benning and Richard Linklater' - e alla location scelta, Porto, la 'cidade invicta' portoghese fotografata in maniera imperfetta, sgranata, ma appassionata, in blu e notte. Una immagine che lascia allo spettatore dei vuoti da colmare o da godere, o nei quali perdersi, con gli stessi interrogativi e certezze dei due amanti, abbandonati a se stessi, ma con il cuore gonfio.

Un film che non lascia indifferenti, insomma, questo esordio del regista brasiliano. Forse troppo indulgente nei confronti del suo intenso protagonista, a tratti eccessivamente melodrammatico e assente, e in balia di una fascinazione tanto intellettuale quanto irreale. Ma se "le bugie degli amanti, prima o poi diventano vere", come ci viene spiegato, è un eccesso di confidenza che per un volta ci sentiamo di giustificare, vista l'onestà e la forza del risultato ottenuto.