NOTIZIE

Odio e amore colorano il sequel di La tigre e il dragone: Sword of Destiny

Abbiamo visto su Netflix il film che torna con grande rispetto su protagonisti e vicende del classico di Ang Lee.

01.03.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Nel 2000 La tigre e il dragone di Ang Lee fu una sorpresa affascinante, non a caso capace di vincere ben quattro Premi Oscar (film straniero, fotografia, scenografia e colonna sonora) rinnovando il genere del Wuxia e sdoganandolo una volta di più per un pubblico moderno e meno abituato a certe produzioni, una volta onnipresenti sui canali televisivi regionali. Quel pubblico oggi si ritrova su Netflix a essere 'zoccolo duro' per questo sequel, che in Italia recupera il titolo originale del film precedente - Crouching Tiger, Hidden Dragon: Sword of Destiny - e tenta una operazione simile.



La storia riprende le mosse dal precedente, e conclude la pentalogia del 'bastone e del ferro' (Crane-Iron) del cinese Wang Dulu sfruttando gli eventi raccontati dall'ultimo libro 'Iron Knight, Silver Vase'. E la mano - tanto quanto l'appartenenza a uno stesso corpo - è evidente. Quello che manca (al film) è semmai il tocco di Ang Lee, che seppe nobilitare questo melodramma orientale fatto di onore e dedizione, odio e amore, fino a trascinarci nella sua ventata di aria fresca.

Oggi era oggettivamente complicato replicare quel successo, privati dell'effetto sorpresa (per esempio della tecnica del Corpo Leggero) e della grazia di Zhang Ziyi, ma per fortuna restano l'intensità della Shu Lien di Michelle Yeoh e alcuni scontri che davvero non fanno rimpiangere il tempo dedicato a un sequel dal quale forse sarebbe stato difficile aspettarsi di più.



In compenso il tocco alla Magnifici Sette (o meglio, Sette Samurai) comporta una certa ricchezza coreografica nei combattimenti suddetti - soprattutto quelli finali e sul lago ghiacciato - e la possibilità di apprezzare anche una certa vena humor intrecciata a quelle più tragiche e drammatiche o epiche previste dal genere. La Via del Ferro, alla fine resta una buona spina dorsale, purtroppo non soddisfacentemente sviluppata, al pari di molti dei personaggi e delle linee narrative accennate, probabilmente per le esigenze televisive evidenti sia a livello progettuale sia estetico e che inevitabilmente definiscono il prodotto.