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O Mecanismo, la recensione della nuova serie Netflix dal produttore di Narcos

José Padilha racconta il più grande scandalo di corruzione del Brasile nella nuova serie crime in otto episodi

O Mecanismo

23.03.2018 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Netflix ha ormai adottato un modello evidente, quello di spingere verso la produzione di serie originali nei paesi che ricevono il servizio, al di fuori degli Stati Uniti. In Italia abbiamo visto Suburra, dalla Germania è arrivata Dark. Ora è il turno del Brasile con O Mecanismo, una serie crime creata dal regista di Tropa de Elite e Robocop, nonché produttore esecutivo di Narcos, José Padilha, insieme a Elena Soarez.
 
È evidente da subito il tentativo di fare presa sui fan di Narcos, in attesa della quarta stagione. C'è di mezzo Padilha, c'è il crimine organizzato in Sudamerica, c'è che anche O Mecanismo è tratto da una storia vera. Quella dell'operazione Lava Jato (o “Car Wash”), indagine sul più grande scandalo di corruzione dell'America Latina, legato alla compagnia petrolifera statale Petrobras, in cui è stata anche coinvolta la presidente Dilma Rousseff. Rispetto a Narcos, O Mecanismo sceglie di non utilizzare nomi veri, ma la sostanza non cambia: la serie mescola cronaca e finzione per drammatizzare gli eventi, e lo annuncia in una eloquente didascalia introduttiva (ancora una volta, facendo il verso alla serie di punta di Netflix).

 
Ma le somiglianze con Narcos si fermano qui. O Mecanismo non tratta di trafficanti di cocaina ambiziosi e dai metodi violenti. È un gioco al gatto col topo che si svolge prevalentemente intorno a dei tavoli, fra trattative e indagini, intercettazioni telefoniche e colpi di fortuna. Non ci sono, almeno nella prima puntata che abbiamo visto, esplosioni o sparatorie. C'è un solo inseguimento d'auto ma non è per nulla spettacolare. Tutto è estremamente realistico e credibile. Addirittura si arriva a dire la stessa cosa di Narcos, ovvero che l'ambizione porta alla caduta, ma la si applica all'altra parte in causa. Non ai criminali ma alla giustizia.
 
Il primo episodio di O Mecanismo non è esente da problemi. Strutturali, innanzitutto, nel senso che sceglie di raccontare per tre quarti una storia ambientata nel 2003, per poi saltare nel 2013 verso la fine. Decide di non invecchiare o truccare i protagonisti in modo che questo salto temporale si avverta. Ma, soprattutto, non è in grado di far capire anche a chi non sa nulla dello scandalo in questione di cosa si stia parlando. Si arriva alla fine della puntata senza aver capito davvero che ruolo abbia il faccendiere Roberto Ibrahim (Enrique Diaz), bollato semplicemente come “trafficante” (di denaro). La Petrobras viene nominata ma per pochissimo e non si ha un'idea di cosa questa abbia a che fare con l'indagine di Marco Ruffo (Selton Mello) e Verena Cardoni (Caroline Abras). Sono cose che verranno ovviamente spiegate nelle prossime puntate, ma fare un attimo di chiarezza in più in questa non sarebbe stato male.

 
Dunque, un episodio diseguale, non troppo chiaro e che dà per scontato che a vederlo siano dei brasiliani ben consapevoli del tema trattato. Eppure avvince. Ha un buon ritmo e la semplicità del plot finisce un po' per pagare, perché ci attira nelle maglie di un caso per noi lontano, contando principalmente sui personaggi. Cade in alcuni cliché ma ne evita altri: come afferma il protagonista Ruffo nei primi secondi dell'episodio, essere poliziotto in Brasile non vuol dire per forza indagare nelle favelas, che infatti non vengono mai mostrate. Al loro posto, troviamo l'architettura gelida e aliena di Brasilia, un ordine di superficie che nasconde il caos nel profondo. Una facciata inedita del Brasile, che rientra perfettamente nella mission di Netflix: sfruttare location internazionali per storie locali, che vadano al di là degli stereotipi del cinema americano, moltiplicando i punti di vista.
 
La prima stagione di O Mecanismo è già disponibile su Netflix.
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