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Noah - La nostra recensione

Aronofsky sceglie la via del Fantasy per la sua Epica, troppo gravata proprio dalla volonta' di rispettare la sua origine leggendaria dopo averla bistrattata.

Noah e' Russell Crowe<br>

05.04.2014 - Autore: Mattia Pasquini
La sorpresa piu' incredibile, successiva alla visione del Noah di Darren Aronofsky, viene decisamente dalla reazione di critica e pubblico. Diversissima. Ovviamente si parla di critica statunitense, per ora, ma la discrepanza tra il 78% di apprezzamento dei principali recensori della Nazione a il solo 48% del pubblico lascia perplessi e da' da pensare. Anche perche' ci saremmo al limite aspettati il contrario…

Che sia la dimostrazione di un bonus di affetto, apprezzamento e credibilita' per un regista spesso delirante, tendenzialmente sconclusionato, ma capace di vincere il nostro cuore con lo splendido The Wrestler nel 2008. Un regista dal quale ci si puo' aspettare di tutto, nel bene e nel male, tanti sono i rischi che prende e la predisposizione a creare.

Quel che ha fatto in questo caso, coerentemente, forse esagerando… Sicuramente, piu' che in The Fountain, finendo con l'accumulare temi, situazioni, scene, concetti e - forse - messaggi fino ad avvicinarsi piu' al Religiolus di Larry Charles e Bill Maher. Con la piccola differenza che in quel caso il passare in rassegna le varie derive o confessioni esistenti voleva dare esaustivita' alla tesi di fondo, qui invece l'impressione e' di non voler scontentare nessuno, permettendo a ciascuno di riconoscersi in almeno un elemento (compreso il crescendo apocalittico dell'esaltato Crowe).



Ambizioso ma non sacrilego, audace ma non volgare, brutale e epico, un Noah del XXI secolo. E questo dovrebbe bastare? Sul sacrilego non ci permettiamo di dir nulla, che' attiene alla sensibilita' dei singoli probabilmente, come per la volgarita' (anche se un tale pasticciaccio qualcosa di esecrabile ce l'ha sicuramente), ma - per quanto calzanti - gli altri aggettivi di certo non danno un'immagine completa dell'Opera.

In nome della licenza artistica - che' la premessa piu' condivisibile del film e' proprio la sua liberta' nel voler raccontare una storia familiare in una cornice fantasy piu' che biblica (anche se qui i non credenti potrebbero non ravvisare differenze) - siam anche lieti di accettare ogni deviazione dallo spunto religioso originario, che sara' bene non teniate troppo fissamente come riferimento narrativo, ma non da una coerenza e organizzazione di fondo. A partire dall'origine della civilta' umana affidata alla 'trimurti' di Caino, Abele e Seth, ma con l'aiuto di 'angelici' Guardiani cui rivolgersi ancora in caso di necessita' e troppo simili agli Ent tolkeniani di Peter Jackson. Una civilta' che per altro e' difficile situare cronologicamente, visti alcuni resti di fattura moderna che si intuiscono nella fuga dei nostri eroi.



Fiori, visioni, miracoli e animali fantastici sono soprattutto la scusa per una sottotrama ecologista fortissima in questo Noah. L'impronta 'Green' che Aronofksy ha scelto di dare all'intero progetto - dalla assenza di bottigliette di plastica sul set (che ha causato un malore alla povera Emma Watson per aver bevuto acqua stagnante) al rifiuto di utilizzare animali nel film (con la conseguenza di un CGI non sempre supplente) - si esplicita infatti nelle dichiarazioni del Patriarca vegetariano, sarcastico verso i mangiatori di carne e vestito di abiti etici ante litteram. E in parte nella connessione tra la 'sempre malvagia' genia di Caino, origine della razza umana, e l'antropocentrismo anche alimentare per cui saremmo stati creati superiori per dominare e disporre delle altre creature.

Ripensandoci, non sono pochi gli elementi che ci rendono simpatico questo Epico Fumettone, da una modalita' 'Antico Testamento' costantemente attivata e pronta a punire qualsiasi cosa per qualsiasi motivo al sesso prematrimoniale consentito dalle circostanze al 'Playing God' del vecchio Matusalemme. Ma quello che non riusciamo a perdonare al regista, e che sembra evidenziare una mancanza di coraggio o di idee - a parte l'ennesimo utilizzo di Anthony Hopkins come Grande Vecchio delle Leggende, buono per tutte le occasioni, dopo Odino a Tolomeo (il narratore di Alexander) - e' proprio la furberia nel dare colpi a cerchio e botte, unendo bibbia e Signore degli Anelli, evoluzionismo e creazionismo, in una cosmologia che ci porta nel giardino dell'Eden chiedendoci pero' un atto di fede.